lunedì 25 dicembre 2017

il Canto di Natale, non di Dickens, ma di san Francesco - post di #bibbiafrancescana

Cantate al Signore un canto nuovo, / cantate al Signore, uomini di tutta la terra. /
Cantate al Signore, benedite il suo nome.
Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza. / In mezzo alle genti narrate la sua gloria, /
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
Gioiscano i cieli, esulti la terra, / risuoni il mare e quanto racchiude; /
sia in festa la campagna e quanto contiene, / acclamino tutti gli alberi della foresta.
Davanti al Signore che viene: / sì, egli viene a giudicare la terra; /
giudicherà il mondo con giustizia / e nella sua fedeltà i popoli. (dal Sal 95)

C’è una tale ricchezza di fede e mistero che si celebra nel Natale di nostro Signore, che la liturgia si moltiplica in 4 schemi di messe per 4 aspetti ed eventi della natività: messa della vigilia, messa della notte, messa dell’aurora e messa del giorno. Quest’anno poi anche la Quarta domenica di avvento si associa alla continuità eccedenza di proposta!

Per chi si sente disorientato da tanta ricchezza consigliamo di riprendere i testi biblici e liturgici un po’ per volta nei giorni a venire. E nelle ore imminenti della festa affidarsi al solo canto. I canti tradizionali del Natale, certamente! Oppure il canto dei Salmi, come ad esempio il Salmo 95 che la liturgia della Messa della notte di Natale ci propone come salmo responsoriale.

sabato 23 dicembre 2017

gomitolo dipanato - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei. (Lc 1,26-38)

IV Domenica del Tempo di Avvento – anno B - Questo brano compone con Lc 1,5-25 il primo «dittico» dei Vangeli dell’infanzia proposti e redatti dall’evangelista Luca. L’annunzio a Maria pertanto si aggancia a quello di Zaccaria (1,5-25) con l’espressione «nel sesto mese» e il riferimento a Elisabetta. Il secondo dittico (separato dal primo con l’episodio della Visitazione, 1,39-56) pone in parallelo la nascita e gli eventi riguardanti Giovanni il Battista e Gesù. Pertanto è tutto il quadro generale che bisogna tenere presente: tutte le descrizioni sono tra loro agganciate in modo discreto e l’insieme di tutto il racconto fa risaltare l’intervento divino. Il quadro dell’«Annunciazione»: dopo aver parlato delle circostanze e dei personaggi (1,26-27), Luca espone il messaggio dell’angelo. Si inizia con il saluto e la reazione di Maria (1,28-29) e poi si sviluppa il messaggio in due parti (1,30-33.35-37) separate dalla domanda di Maria (1,34). La risposta di Maria chiude il racconto (1,38). Poche note per ricordare la complessità e la ricchezza della narrazione evangelica, tutt’altro che cronachistica o narrativa come si potrebbe pensare.

domenica 17 dicembre 2017

nel buio e nel silenzio - post per #bibbiafrancescana

“Venne un uomo mandato da Dio: / il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone / per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce, / ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando”. (Gv 1,6-8. 19-28)

Domenica III del tempo di Avvento – anno B – In questo terza domenica di avvento, ciclo B, la liturgia lascia l’evangelista Marco (presente nelle prime due domeniche) e si rivolge ad un’altra fonte, l’evangelista Giovanni. Quasi a completare e approfondire la figura di Giovanni il Battista proposta una settimana fa (II domenica).

Giovanni il Battista “non era la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce”. L’unico modo perché la luce si noti davvero è “fare buio”.  Giovanni il Battista con la sua predicazione “metteva in luce” la “presenza del buio” in un popolo e in persone che forse avevano dimenticato le promesse di Dio, che forse avevano smesso di sperare, che forse si erano rivolte al altri idoli che riempivano la loro fame di vita… L’invito alla conversione è in fondo considerare attentamente il buio esistente dentro e fuori queste esistenze, abbassare l’intensità di false luci effimere, permettere di avere occhi nuovi capaci di vedere la vera luce: c’è chi ci ricorda che è nel buio della notte che si possono distinguere le stelle più lontane e brillanti, non di giorno!

domenica 10 dicembre 2017

davvero fanno strada - post per #bibbiafrancescana

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: / egli preparerà la tua via. / Voce di uno che grida nel deserto: / Preparate la via del Signore, / raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme.
E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico.
E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo» (Mc 1,1-8).

2′ Domenica di Avvento – anno B – Nel I secolo “vangelo” non indica ancora il genere letterario di cui l’opera di Marco è forse il primo esempio, ma l’annuncio della Chiesa su Gesù, in quanto fonte di gioia. Più raramente, designa la predicazione di Gesù. La specificazione “di Gesù” può riferirsi sia al soggetto sia all’oggetto del lieto annuncio.

Purtroppo l’assidua frequentazione con la Parola di Dio può generare sovente un senso di “già ascoltato” che attenua la forza innovatrice che è sempre presente nella Parola. Durante le calde assolate giornate estive capita nella mia città di vedere molti operai al lavoro per sistemare lunghi tratti di strada ancora fatta di sampietrini. Un lavoro oltremodo faticoso: si dice che non si trovino più operai capaci e disponibili per questo servizio. Qualcuno li deride pure, chiedendosi il perché di tutto questo quando basterebbe una bella colata di asfalto…

domenica 3 dicembre 2017

“Chi” più che “quando” - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!» (Mc 13,33-37)

1′ domenica del tempo di avvento – anno B – «È veramente giusto renderti grazie e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode, Padre onnipotente, principio e fine di tutte le cose. Tu ci hai nascosto il giorno e l’ora, in cui il Cristo tuo Figlio, Signore e giudice della storia, apparirà sulle nubi del cielo rivestito di potenza e splendore. In quel giorno tremendo e glorioso passerà il mondo presente e sorgeranno cieli nuovi e terra nuova. Ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno. Nell’attesa del suo ultimo avvento, insieme agli angeli e ai santi, cantiamo unanimi l’inno della tua gloria: Santo…». (Prefazio dell’Avvento I/A). Così prega nella liturgia eucaristica d’Avvento la Chiesa, offrendoci la chiave di lettura del messaggio oggi presentato nel Vangelo di Marco: la vigilanza è tempo di attesa operosa perché “ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno”. Viene… verrà: già… e non ancora.

domenica 26 novembre 2017

l’araldo del gran Re - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,31-40)

Domenica XXXIII del tempo ordinario, anno A – Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo – Alle nostre orecchie e alle nostre menti sembra così desueto e arcaico questo titolo della Regalità di Gesù. Tracce “archeologiche” di tempi in cui la Chiesa (romano cattolica) aveva bisogno di affermare una regalità superiore a quella di ben altre esperienze terrene ed umani, regali sì ma non per questo meno fragili o persino ostili alla fede…

Più familiare certamente a Gesù è l’ambiente storico in cui davvero si viveva nella consapevolezza di popoli guidati da re imperatori. E in questa notissima parabola di Mt 25 il modello regale viene proiettato maestosamente persino alla fine dei tempi, dove da un trono di regalità affidato al Figlio dell’uomo si potrà fare verità, rendere palese la verità, che è nella Carità/Amore. Vera “apocalisse” (visto che il significato della parola greca è “rivelazione” – appunto – non preannuncio di disgrazie!): l’apocalisse che è la carità/amore il metro sul quale tutto viene misurato da Dio, sia ciò che è noto sia ciò che è nascosto.

domenica 19 novembre 2017

“Beato il servo che rende tutti i suoi beni al Signore Iddio” - post per #bibbiafrancescana

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”» (Mt 25,14-15.19-21, forma breve di 25,14-30).



Nella Parabola ci sono tre momenti: 1) La consegna secondo le capacità. Ma il numero dei talenti consegnati a ciascuno non avrà alcuna conseguenza. 2) L’attesa. Qui attendere e vigilare significa operare e far fruttare. Non dunque essere a posto «legalmente», ma impegnàti e responsabili del dono. 3) Il rendiconto, momento culminante. Il premio è uguale: la comunione col Signore.

Non mancano espressioni paradossali per enfatizzare il cuore del messaggio evangelico della parabola: 5 talenti corrispondono oggi (secondo Bibbia TOB) a più di diecimila euro! Il primo servo che ne ha fruttati altri cinque ha compiuto davvero qualcosa di notevole, eppure “sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto”! L’attenzione è sulla fedeltà, non sul risultato: infatti anche il secondo servo viene “premiato” per la fedeltà.

domenica 12 novembre 2017

un grido - articolo per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”.
Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”.
Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora» (Mt 25,1-13)

XXXII Domenica del Tempo ordinario – anno A – Tanto per chiarire il contesto socio/religioso della parabola: ai tempi di Gesù la sposa aspettava nella casa dei genitori l’arrivo dello sposo. Dopo il tramonto del sole, lo sposo arrivava con un corteo nuziale per portarla nella sua casa. Alcune damigelle seguivano la sposa. Diverse ragioni potevano causare il ritardo dello sposo come, per esempio, lunghi discorsi con i genitori della sposa sui doni e sulla dote. Il tirare in lungo le trattative era di buon auspicio.

Come la parabola raccontata pochi versetti prima (Mt 24,45-51, Il servo fidato) anche questa è centrata sul ritardo del Signore (24,48; 25,5); tuttavia l’attenzione si concentra non sulla cattiva condotta dei servi, bensì sul dovere di essere pronti (24,44; 25,10) quando risuonerà il grido che annuncia la venuta dello sposo. Le vergini della parabola sono sagge o stolte come coloro che costruiscono sulla roccia o sulla sabbia (7,24-27).

Quando Matteo riceve questa parabola dalla tradizione, la trova adatta per essere caricata di significato in relazione a Gesù e alla Chiesa: lo Sposo della Nuova Alleanza, ora lo sappiamo, è Gesù. Aspettiamo il suo ritorno, ma il suo ritorno ritarda. Ai tempi della seconda generazione cristiana, quando Matteo scrive il suo vangelo, bisogna abituarsi all’idea che il ritorno del Signore non avverrà domani. Questa lunga attesa fa problema: non bisogna dormire; c’è ancora da fare, come insegnava la parabola del servitore fedele (24,45-51) e come svilupperà quella dei talenti (25,14-30).

domenica 5 novembre 2017

tra il dire e il fare - articolo per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”,
perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli.
E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra,
perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste.
E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo;
chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato» (Mt 23,1-12)

Domenica XXXI del tempo ordinario – anno A – Autunno, tempo di fiere e sagre, anche qui in Veneto. L’occhio cade sopra una bancarella di chincaglierie: quadretti e tabelle di varie forme e materiali con tanti proverbi o modi di dire, gli stessi oggetti fatti in serie chissà dove che affollano un po’ tristemente bancarelle e negozi dei perimetri di affollamento turistico nei pressi di monumenti e chiese illustri. Tra tante “amenità” spicca l’immancabile: «fa quel ch’el prete dixe, no dir quel ch’el prete fa» (“fa quel che il prete dice, non dire quel che il prete fa”). I muscoli facciali abbozzano un sorriso appena percettibile che già un’amarezza intensa si riversa nelle viscere.

L’arguzia popolare pare aver coniato questo detto da secoli: il conio originale pare davvero quello matteano del vangelo di oggi, ma deformato dal disincanto che nel tempo sostituisce “scribi e farisei” con i nuovi occupanti le cattedre o sgabelli del sacro. Un po’ di rabbia a dire il vero può salire dal profondo: abbiamo da poco celebrato la Festa di tutti i Santi, coloro che non solo “hanno detto” ma pure “hanno fatto” in nome di un Dio tanto amato e riconosciuto come vero Maestro. E anche tra loro, quanti preti…! Ma come negare che cronache più o meno recenti, urlate con ogni media pervasivo e umiliante, nei confronti di malefatte di sacerdoti sembrino dar ragione alla “saggezza popolare” di cui sopra? «Fa quel ch’el prete dixe, no dir quel ch’el prete fa»… Che poi – anche se in alcuni casi la verità scagiona il prete di turno – meglio lasciare l’ombra del sospetto perché si sa, lo si dice da sempre «Fa quel ch’el prete dixe, no dir quel ch’el prete fa»…

domenica 29 ottobre 2017

tre dimensioni più una - articolo per #bibbiafrancescana

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova:
«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».
Gli rispose:
«“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore,
con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”.
Questo è il grande e primo comandamento.
Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”.
Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,34-40).

Domenica XXX del Tempo ordinario – anno A – Nel vangelo di Matteo questi versetti fanno parte di una sezione più ampia di racconti di conflitti di Gesù con i suoi avversari; in Marco e Luca il carattere polemico è meno accentuato. L’originalità di questo sommario evangelico della legge non sta nelle idee dell’amore di Dio e del prossimo, già ben note nel primo testamento (Levitico 19,18 e Deuteronomio 6,5), ma nel fatto che Gesù li unisce insieme dando loro la stessa importanza e soprattutto nella semplificazione e concentrazione di tutta la Legge in questi due comandamenti. Un “distillato” di sapienza biblica in confronto ai 613 precetti della Torah!

Gesù smaschera innanzitutto l’atteggiamento dei farisei che cercavano la loro sicurezza non in Dio, ma nell’osservanza rigorosa della Legge, avendo fiducia più nelle azioni che essi facevano per Dio che in ciò che Dio faceva per loro. E poi Gesù presenta un itinerario-cammino in progressione: la richiesta di un amore dell’uomo verso Dio, compito inesauribile, come indicato dall’uso della formula: Amerai. Questa forma verbale, oltre al valore dell’imperativo associa anche l’idea di progressività, di incompiutezza. C’è sempre un futuro in questo comandamento, un nuovo futuro. L’amore è un compimento che non ha mai fine, ma trova nuove strade, nuove realizzazioni, nuove espressioni.

domenica 22 ottobre 2017

testa E croce - articolo per #bibbiafrancescana

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli:
«Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose:
«Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo».
Ed essi gli presentarono un denaro.
Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?».
Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,15-21).

Domenica XXIX del tempo ordinario, anno A – Nessun azzardo per i farisei usciti dal consiglio: lo scopo sarà raggiunto comunque! Alla loro domanda trabocchetto Gesù cadrà comunque. “E’ lecito o no pagare il tributo a Cesare?”. Se risponderà di sì, è un collaborazionista dell’invasore romano, la gente lo disprezzerà. Se risponderà di no, sarà sufficiente denunciarlo ai romani, e ci penseranno loro a toglierlo di mezzo. Non c’è scampo per questo nazareno!

Il tributo non è solo questione di pagare le tasse o meno. Oltre agli oneri fiscali indiretti (pedaggi, dogana, tasse varie e balzelli numerosi) le provincie pagavano all’Impero romano il tributo che era uguale per tutti gli ebrei: soltanto i bambini e vecchi ne erano esenti; esso era considerato un segno infamante della sottomissione del popolo a Roma; gli zeloti persino proibivano ai loro seguaci di pagarlo.

domenica 15 ottobre 2017

monte delle meraviglie - articolo per #bibbiafrancescana

Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre distesa su tutte le nazioni.
Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo
farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato.
E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse.
Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza,
poiché la mano del Signore si poserà su questo monte» (Is 25,6-10)

Domenica XXVIII del Tempo ordinario, anno A - Nella prima parte del libro di Isaia (Is 1-39), subito dopo gli oracoli contro le nazioni (cc. 13-23) e prima della seconda raccolta di poemi su Israele e su Giuda (cc. 28-35), si trova una sezione tardiva e piuttosto complessa di oracoli chiamata «grande Apocalisse» (cc. 24-27) perché riguarda la fine del mondo e il giudizio finale. Al centro di questa raccolta si situa l’oracolo che preannunzia il banchetto degli ultimi tempi. Il testo si divide in tre parti: banchetto finale (v. 6); suoi scopi (vv. 7-8); risposta del popolo (vv. 9-10).

Il banchetto viene imbandito sulla montagna, che indica simbolicamente il luogo in cui Dio ha messo la sua dimora. Ma la caratteristica della visione di Isaia è che qui non sono presenti solo i rappresentanti di Israele, ma «tutte le nazioni»: l’alleanza escatologica non sarà più limitata a un solo popolo, ma si estenderà a tutta l’umanità, come era stata l’alleanza di Noè (cfr. Gen 9,9). Questo banchetto ricorda quello imbandito dalla Sapienza, al quale sono invitati tutti gli inesperti, senza differenza di religione o di nazionalità (cfr. Pr 9,1-6).

Ed è in questo contesto di gioia, di fratellanza universale, di gratuità da parte di Dio, che Dio si manifesta attraverso l’azione inaudita e impensabile: «Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre» (vv. 7-8).

lunedì 9 ottobre 2017

Otto e più per un Santo - articolo per "Lungo la strada"

Articolino pubblicato su "Lungo la strada. Portavoce tra le persone che la strada scout hanno vissuto", settembre 2017, Noventa Padovana. Si ringrazia il sig. Gaetano Franceschini per aver sollecitato l'articolo per la loro rivistina degli Scout Adulti di Padova.

Otto e più per un Santo

Da qualche giorno la città di Padova e la Basilica del Santo hanno vissuto il loro giorno più fulgido nel ricordo “del Santo senza nome”, ma ben noto, frate Antonio DI Padova DA Lisbona.

Senza nome è la moltitudine delle migliaia di pellegrini che hanno visitato la Basilica e poi hanno partecipato alla tradizionale e sentita processione pomeridiana.

Senza nome è anche la presenza numerosa e preziosa di tanti scout che prestano il loro servizio cordiale e preciso nel perimetro santuariale per tutta la giornata, garantendo un valido aiuto per il servizio d’ordine e aiutando i pellegrini in tante piccole necessità.


domenica 8 ottobre 2017

pietre di scarto - articolo per #bibbiafrancescana

E Gesù disse loro:
«Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”? [Sal 118,22-23]
Perciò io vi dico:
a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Mt 21,42-43).

Domenica XXVII del tempo ordinario, anno A – L’uditorio di Gesù è sempre molto preciso e rapido a sentenziare di fronte alle vicende raccontate dal Maestro nelle sue parabole. Le parabole presentate nelle ultime domeniche ne sono il chiaro esempio. Finché c’è da giudicare sulle vicende (o melafatte) altrui, tutti molto reattivi!

La parabola dei contadini omicidi non si sottrae a questa dinamica. Ma l’uditorio delle comunità cristiane (già da quelle più antiche) intravede in questo racconto la vicenda di Cristo, il Figlio inviato dal Padre, e poi ucciso: ma che risusciterà. E la citazione del Salmo 118 svela che ciò che venne considerato inutile, “pietra di scarto”, in realtà era la “pietra d’angolo” per costruire solidamente una nuova umanità: l’umanità di coloro che nella morte non vedono la fine o una fine, ma un “passaggio” nella promessa di vita eterna.

bambina prigioniera

Oggi presiedendo la santa messa in Casa di Riposo a Taggì è capitato qualcosa di emozionante. 

Un'ospite della struttura, molto anziana, molto magra, obbligata in sedia a rotelle, era proprio davanti a me, presso l'altare. 

Il corpo ormai senza energie per sostenersi, ma lo sguardo lucido e penetrante, interrogativo e dialogante: era estremamente attenta e partecipe alla celebrazione. 

Quando poi c'erano i canti liturgici si trasformava: cantava come poteva col poco fiato disponibile, le mani irrefrenabili accompagnavano il canto e la melodia e il ritmo. Quelle mani danzavano con poesia: da quelle mani magicamente vedevo materializzarsi l'immagine prigioniera di una bambina nascosta in quel corpo, una bimba che un tempo non avrebbe avuto ritegno di mettersi a danzare davanti al prete e ai genitori durante la messa, senza paura di rimproveri... perché la danza era troppo travolgente perché nulla potesse fermala.

Oggi ho visto un bagliore di preghiera autentica. 

Oggi ho pregato con lei e per quella bambina che - quando Dio vorrà - tornerà a danzare davanti a Lui.

mercoledì 4 ottobre 2017

molto occupato - articolo per #bibbiafrancescana

C’è una definizione di san Francesco che non smette mai di “tormentarmi” positivamente, in ormai diversi anni di vita religiosa e francescana. È una definizione antica ma di una “modernità” impressionante: la troviamo nella prima biografia francescana, la Vita prima di fr. Tommaso da Celano, databile nel 1228-1229; Francesco morì nel 1226.

Dice fr. Tommaso di Francesco d’Assisi: «Era davvero molto occupato con Gesù» (FF 522).

Sei parole, un distillato di teologia spirituale e allo stesso tempo un folgorante tweet in meno di 140 caratteri. Come una caramella balsamica alle erbe, dura, compatta, non masticabile… da sciogliere lentamente in bocca per lungo tempo.

Tommaso non dice “preoccupato” o tormentato. Dice proprio “occupato”, nel senso di una realtà che occupa tempo e spazio insieme/con Gesù. Per Francesco Gesù non era solo l’ “Emmanuele, Dio-con-noi” (Mt 1,23) ma era un “Tu” con il quale avere a che fare continuamente: non un’idea ma una persona vera e propria. Non per nulla quando la sua esperienza di “essere molto occupato con Gesù” raggiungerà il culmine massimo con l’esperienza delle stimmate a La Verna, Francesco sarà in grado di prorompere in una preghiera apparentemente banale ma invece estremamente difficile: le Lodi di Dio Altissimo (FF 261), mirabile elenco di trentasei “Tu sei…” rivolti a quel Cristo tanto conosciuto e servito e amato e compagno e Maestro, preghiera che fortunosamente conserviamo ad Assisi scritta di suo pugno su un brandello di pergamena.

domenica 1 ottobre 2017

sì, no, forse - articolo per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò.
Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò.
Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?».
Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.
Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto.
Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli» (Mt 21,28-32)

Domenica XXVI del tempo ordinario, anno A - «Invochiamo la misericordia di Dio onnipotente perché ci renda capaci non solo di ascoltare la sua parola ma anche di praticarla. Egli faccia scendere su di noi l’abbondanza del suo Spirito perché distrugga in noi quello che deve essere distrutto e vivifichi quello che stima debba essere vivificato». Così pregava molti secoli fa Origene: un condensato di onestà di fronte a Dio. Ascoltare-Praticare. «Ascolta Israele:…» (Dt 6,4) il vero primo comandamento, o “comandamento zero” se vogliamo poi rispettare il numero delle “dieci parole” successive. Il primato dell’Ascolto che – se corretto – può davvero aprire all’azione successiva.

Può aprire. Ma “anche no”. La parabola di oggi ne è la dimostrazione. Tra il dire e il fare non c’è bisogno che ci sia un mare: ci si può annegare anche in una lacrima. E non basta neppure il richiamo evangelico: «Il vostro parlare sia “sì, sì”, “no, no”» (Mt 5,37). La prova è sempre la storia successiva.

Un saggio prete di città molti anni fa predicava:

«Gesù, nella parabola dei due figli, insiste sulle disposizioni personali. Chiamati dal padre, c’è chi risponde sì… e non fa; c’è chi risponde no e contesta… ma poi si ravvede. Solo il Cristo è stato coerente e il suo «sì» fu totale.  Noi tutti siamo incoerenti e bisognosi di revisione: diciamo “sì”, ma solo a parole, per pigrizia; “no”, ma temiamo la coscienza. Anche oggi c’è chi ha la struttura dell’ossequio e dell’obbedienza, ma poi smentisce con i fatti;  c’è chi contesta e disobbedisce, ma poi si ravvede e si impegna. E qui Gesù esprime uno dei più colossali paradossi: parole di fuoco e di tuono. In tono solenne, come un giuramento: «In verità vi dico, i pubblicani e le prostitute vi precederanno…». Gesù non canonizza il rubare e la prostituzione, lo strozzinaggio e l’ingiustizia; ma avverte e proclama la validità dei recuperi e l’incancrenirsi dell’ipocrisia di chi si crede giusto. (…) Noi giudichiamo sui fatti esteriori e sulle parole. Dio giudica il cuore. Ci sono sempre i modelli di ipocrisia, i cittadini al di sopra di ogni sospetto. Ma ci sono anche quelli che tacciono il bene che fanno; che operano in silenzio, che non si fanno osservare, che la gente non guarda: ma sono graditi a Dio. Nessuno, dunque, è emarginato da Dio. (…) Ma attenti! «Chi pecca con la pretesa del perdono pecca due volte» – diceva mia madre. Chi dice e non fa è simile a colui che costruisce sulla sabbia» [A. ANDRIGHETTI (a cura di), La gioia di credere. Dalle omelie di mons. Valentino Vecchi, Fondazione Valentino Vecchi, Mestre (VE) 1990].

Oggi sembra che si stia affermando una terza via che neppure era prevista da Gesù nella parabola: “forse…”. E in quel non decidersi – che di fatto è una decisione! – si naviga tristemente in acque insicure senza una meta trascinati dalle correnti della storia.

Ci riconosciamo, Signore, tuoi figli convocati dalla tua Parola e mandati nel mondo per testimoniare il vangelo. Eppure, umilmente, oggi ti chiediamo perdono perché tante volte ti abbiamo detto «sì» con le labbra e «no» con le opere. Oppure, «forse»…

Bibbia francescana ci rivela che questo capitolo 21 di Matteo è totalmente assente nelle Fonti Francescane. Ma con Francesco preghiamo sempre volentieri…

Onnipotente, eterno, giusto e misericordioso Iddio
concedi a noi miseri di fare, per tua grazia, ciò che sappiamo che tu vuoi,
e di volere sempre ciò che ti piace,
affinché interiormente purificati,
interiormente illuminati
e accesi dal fuoco dello Spirito Santo,
possiamo seguire le orme del Figlio tuo,
il Signor nostro Gesù Cristo
e a te, o Altissimo, giungere con l’aiuto della tua sola grazia.
Tu che vivi e regni glorioso
nella Trinità perfetta
e nella semplice Unità,
Dio onnipotente
per tutti i secoli dei secoli.
Amen. (FF 233)
link: http://bibbiafrancescana.org/2017/09/si-no-forse/

venerdì 29 settembre 2017

san Michele e compagni, angeli! - articolo per #bibbiafrancescana

«Benedite, angeli del Signore, il Signore, / lodatelo ed esaltatelo nei secoli. // Benedite, cieli, il Signore, / lodatelo ed esaltatelo nei secoli» (Dn 3,58-59).

«Sì, mio rifugio sei tu, o Signore!”. / Tu hai fatto dell’Altissimo la tua dimora: / non ti potrà colpire la sventura, / nessun colpo cadrà sulla tua tenda. / Egli per te darà ordine ai suoi angeli / di custodirti in tutte le tue vie. /  Sulle mani essi ti porteranno, / perché il tuo piede non inciampi nella pietra» (Sal 91,9-12)

«Benedite il Signore, angeli suoi, / potenti esecutori dei suoi comandi, / attenti alla voce della sua parola» (Sal 103,20).

«Lodate il Signore dai cieli, / lodatelo nell’alto dei cieli. / Lodatelo, voi tutti, suoi angeli, / lodatelo, voi tutte, sue schiere» (Sal 148,1-2)

Ci racconta frate Leone che «Il beato Francesco due anni prima della sua morte fece nel ‘‘luogo’’ della Verna una quaresima a onore della beata Vergine Madre di Dio e del beato Michele Arcangelo, dalla festa dell’Assunzione di santa Maria Vergine fino alla festa di san Michele di settembre; e scese su di lui la mano del Signore: dopo la visione e le parole del Serafino e l’impressione delle stimmate di Cristo nel suo corpo, [...] Il beato Francesco scrisse di sua mano questa benedizione a me, frate Leone: “Il Signore ti benedica e ti custodisca; mostri a te il suo volto e abbia misericordia di te. Rivolga il suo volto verso di te e ti dia pace. Il Signore benedica te, frate LeTone”» (con un bel T di tau benedicente in mezzo al nome di Leone!).

Francesco credeva veramente nell’esistenza degli angeli. Del resto erano presenti nella Parola di Dio, li trovava nei Salmi che pregava: perché dubitare della Scrittura?

domenica 24 settembre 2017

uno per tutti, tutti per Uno - articolo per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.
Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna.
Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono.
Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto.
Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”.
Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro.
Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più.
Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.
Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi». (Mt 20,1-16)

Domenica XXV del tempo ordinario – anno A – Ma che modo è mai di ragionare e comportarsi questo? Perché tanta ingiustizia nella retribuzione? Lasciato lo sconcerto (che indigna, ma che incuriosisce…), procediamo con calma…

Questo brano ci pone all’interno della sezione del Vangelo di Matteo, che precede direttamente i racconti della passione, morte e risurrezione di Gesù. Questa sezione inizia in 19,1, dove si dice che Gesù lascia definitivamente il territorio della Galilea per recarsi nella Giudea, dando inizio al suo cammino di avvicinamento a Gerusalemme e si conclude in 25,46, col quadro sulla venuta e il giudizio del Figlio di Dio.

La parabola della discordia segue le rassicurazioni che Gesù aveva dato alla richiesta di Pietro: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?» (Mt 19, 27). Il maestro aveva proposto scenari inattesi: «…quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele» (19,28). E ancora aveva parlato del ‘centuplo’ e della ‘vita eterna’. Il passo si concludeva però con una affermazione un po’ strana rispetto al discorso precedente: «Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi» (19,30). Si tratta di una frase quasi identica a quella che conclude questa parabola degli operai nella vigna: «Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi». Anzi, speculare! Rovesciamenti di prospettiva in vista, dunque!

lunedì 18 settembre 2017

quattrocentonovanta - articolo per bibbiafrancescana

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse:
«Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?».
E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi.
Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti.
Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito.
Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”.
Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari.
Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”.
Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”.
Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto.
Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello» (Mt 18,21-35)

Domenica XXIV del tempo ordinario – anno A – Quanti di noi, imparate le moltiplicazioni a scuola, non si sono trovati a risolvere l’enigma del perdono presentato da questo episodio del Vangelo? Trovandosi a ronzare nella testa questo curioso “quattrocentonovanta”. Le catechiste o i parroci a spiegarci che era un modo di dire: “sempre!”. Altre bibbie (TOB) a informarci che in alcuni manoscritti la tradizione consegnata era persino “settantasette volte sette volte”, sconfinando così in un cinquecentotrentanove volte l’obbligo di perdonare il “fratello che commette colpe contro di me”.

lunedì 11 settembre 2017

da Dio-con-noi a Dio-tra-noi - articolo per bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni.
Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà.
Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». (Mt 18,15-20)

Domenica XXIII del tempo ordinario, anno A – Realismo, ostinazione, urgenza. Tre idee nascoste (tra tante altre, immagino) in queste righe di vangelo.

domenica 3 settembre 2017

questione di posizioni. questione di identità. - articolo per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo:
«Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai».
Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?
O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni» (Mt 16,21-28).

Domenica XXII del tempo ordinario – anno A – Questione di posizioni. Questione di identità. Questione di sequela. La narrazione matteana mette bene in risalto il contrasto in pochi versetti: dalla “fede e missione di Pietro” (16,13-20) al primo sconcertante annuncio della morte e risurrezione (vv. 21-28), in chiusa del cap. 16 e a prologo dell’evento della trasfigurazione (17,1-13).

“Dove stare?” Il posto del discepolo è “dietro” il Maestro. Non davanti, non “in disparte”. Eppure Pietro ha buon cuore (e forse anche tanta paura!): «Dio non voglia, Signore: questo non ti accadrà mai!». Pietro cominciò a rimproverare Gesù. Gesù comincia a rivelarsi apertamente, e Pietro a ribellarsi duramente-affettuosamente. Ma «rimproverare» in greco è la stessa parola che indica quanto Gesù fa con i demoni. È quanto Pietro fa con Gesù. Chi evita questo scontro, non capirà mai il pensiero di Dio. Lo scontro può essere evitato in buona o in malafede, per inavvertenza e cecità. Ma prima o poi il proprio “scontro personale” con Dio non verrà meno… Pietro prende Gesù in disparte per rimproverarlo: gli vuole bene, e non vuole umiliarlo davanti agli altri! Si sente comunque in dovere, per il suo affetto, di riprenderlo. Certe cose non si dicono neanche per scherzo! Che ne è del Cristo e del Dio vivente se è un perdente! È bestemmiare contro (ciò che Pietro pensa essere) la Gloria.

domenica 20 agosto 2017

due in uscita - articolo per #bibbiafrancescana

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne.
Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare:
«Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio».
Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono:
«Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!».
Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!».
Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini».
«È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri».
E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Domenica XX del tempo ordinario, anno A – Secondo la narrazione di Matteo, Gesù esce dal luogo dove i farisei e gli scribi onorano il Signore con le labbra, ma con il cuore lontano da lui (Gerusalemme). Si ritira allora in zona pagana, verso Tiro e Sidone. E’ un’allusione al passaggio della salvezza ai pagani (At 13,46ss).

La mancanza di fede in molti israeliti fa uscire Gesù dalle “sue” regioni per condurlo tra i pagani (Tiro e Sidone); la fede a sua volta fa uscire anche la pagana dal suo paese, per incontrarlo. Due moti dell’anima diventano due movimenti nello spazio. Chi si allontana da dove avrebbe dovuto esserci fede, chi nasconde una fede imprevista: i due si incontrano nella terra improbabile. Zone inquiete, lo dimostra il moto dell’animo dei discepoli…

domenica 30 luglio 2017

cuore ascoltante - articolo per #bibbiafrancescana

In quei giorni a Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte.
Dio disse: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda».
Salomone disse: «Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per la quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?».
Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa.
Dio gli disse: «Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te» (1Re 3,3.5.7-12).

Salomone è appena succeduto al padre Davide nel regno e chiede a Dio “un cuore che ascolta” e Dio gli concede un cuore saggio e intelligente.  Ma il giovane re non ha chiesto direttamente la saggezza, che evidentemente costituisce un arricchimento, un guadagno. Egli ha umilmente chiesto questa apertura di cuore che mette in condizione di riceverla.

domenica 16 luglio 2017

il più piccolo, il più grande - articolo per #bibbiafrancescana

«…Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami…» (Mt 13,31-32).

Domenica XVI del tempo ordinario, anno A – Il testo evangelico proposto per la liturgia odierna è molto ampio (Mt 13,24-34). Le tre parabole, quella della zizzania e del grano (13, 24-30), quella del granello di senapa (13, 31-32), e quella del lievito (13, 33), hanno lo stesso scopo. Esse vogliono correggere l’aspettativa dei contemporanei di Gesù che credevano che il Regno di Dio avrebbe fatto irruenza con forza eliminando subito tutto ciò che gli era contrario. Attraverso queste parabole Gesù vuole spiegare ai suoi uditori che egli non è venuto per instaurare il Regno con potenza, ma per inaugurare i tempi nuovi gradualmente, nella quotidianità della storia, in un modo che spesso passa inosservato. Eppure la sua opera ha una forza inerente, un dinamismo e un potere trasformante che pian piano va cambiando la storia dal di dentro…

previsioni meteo-spirituali - articolo per #bibbiafrancescana

«[Cercate il Signore, mentre si fa trovare, / invocatelo, mentre è vicino. / L’empio abbandoni la sua via / e l’uomo iniquo i suoi pensieri; / ritorni al Signore che avrà misericordia di lui / e al nostro Dio che largamente perdona. /
Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, / le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. / Quanto il cielo sovrasta la terra, / tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, / i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.]
Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo / e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, / senza averla fecondata e fatta germogliare, / perché dia il seme a chi semina / e il pane a chi mangia, / così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: / non ritornerà a me senza effetto, / senza aver operato ciò che desidero / e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55 6-11).

Domenica 15′ del tempo ordinario, anno A - Nella seconda parte del libro di Isaia (Deuteroisaia) (Is 40-55) si preannunzia e si prepara il ritorno dei giudei esiliati in Babilonia nella loro terra (538 a.C.). La sezione inizia con l’evocazione di una grande strada che si apre nel deserto, lungo la quale gli esuli si incamminano sotto la guida di Dio (Is 40), e termina con un poema nel quale si riafferma la fedeltà di Dio che porterà a compimento tutte le sue promesse (Is 55). Quest’ultimo capitolo si divide in tre parti: 1) il rinnovamento dell’alleanza davidica (vv. 1-5); 2) L’efficacia della parola di JHWH (vv. 6-11); 3) Rinnovamento di tutte le cose (vv. 12-13).

La parola ebraica majîm, “acqua”, risuona 580 volte nell’Antico Testamento, come l’equivalente greco hydôr ritorna 76 volte nel Nuovo Testamento. Circa 1.500 versetti dell’Antico e oltre 430 del Nuovo Testamento sono “intrisi” d’acqua perché – oltre ai vocaboli citati – c’è una vera e propria costellazione di realtà che ruotano attorno a questo elemento vitale, a partire dal mare che spesso ha connotati negativi, quasi fosse simbolo del caos che attenta al creato, passando attraverso le piogge (che in ebraico hanno nomi diversi secondo le stagioni!), le sorgenti, i fiumi, i torrenti, i canali, i pozzi, le cisterne, la neve e così via. Secondo la scienza, il pianeta terra è per circa il 70% coperto di acque, il corpo umano è composto di acqua per circa il 70%: ogni persona ha in sé tanta acqua fonte di vita quanta è in proporzione quella sulla superficie del pianeta che le è dato di abitare!

domenica 9 luglio 2017

punto ristoro - articolo per #bibbiafrancescana

In quel tempo Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11,25-30).

14′ domenica del tempo ordinario (anno A) – A metà della sua vita pubblica e della sua predicazione, Gesù sta facendo l’esperienza decisiva del fallimento presso Israele. La sua parola, che annuncia il regno di Dio, viene rifiutata dai capi spirituali del popolo anche se accolta dalla gente semplice e ignorante. Egli si domanda il perché di tutto questo, riconoscendo il disegno misericordioso del Padre, che vuole rivelare il suo regno ai piccoli, agli umili, a coloro che aspettano tutto da Dio. Gesù constata che i sapienti, cioè i farisei e i maestri della legge, si sono esclusi dalla salvezza, mentre i piccoli, sono diventati gli eletti di Dio.

In tempi come i nostri, dove è così frequente il “maledire” o il turpiloquio per sfogare l’aggressività per ciò che non aggrada o ciò che non si realizza come vorremmo, l’atteggiamento di Gesù ha dello sconcertante. Agli occhi del mondo la sua missione sembra fallimentare. Lui non recrimina, lui “rende lode”, restituisce benedizione a Dio: perché è un Dio che manifesta progetti di bene inimmaginabili o forse insperati. Come aveva profetato Isaia: «Cercate il Signore, mentre si fa trovare, / invocatelo, mentre è vicino. / L’empio abbandoni la sua via / e l’uomo iniquo i suoi pensieri; / ritorni al Signore che avrà misericordia di lui / e al nostro Dio che largamente perdona. / Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, / le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. / Quanto il cielo sovrasta la terra, / tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, / i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri» (55,6-9).

domenica 25 giugno 2017

Plurale singolare

Una piccola riflessione che mi è stata chiesta per il volumetto preparato in occasione della chiusura della presenza dei fati minori conventuali nella Parrocchia Sacro Cuore di Mestre: «...e vi doni la Sua pace». I frati salutano la parrocchia del Sacro Cuore, pro-manuscripto, Mestre 2017, pp. 25-26.


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Plurale singolare

Sembra un ossimoro, ma dopo tanti anni mi piace sintetizzare così l’esperienza di vita e di fede vissuta a Mestre nella Parrocchia del Sacro Cuore e nel suo convento francescano.

È “singolare” il fatto che la mia percezione di Chiesa e di fede per moltissimi anni (diciamo fino a 21 anni) sia rimasta confinata in una forma che davo per scontata e unica, ossia quella di una Parrocchia retta da una comunità religiosa francescana. Era la mia esperienza: e un’esperienza tanto coinvolgente che non mi provocava nemmeno ad uno sguardo all’infuori. Sguardo che probabilmente mi avrebbe fatto capire prima che – in genere – una comunità parrocchiale non è normalmente affidata ad una comunità religiosa. Oggi a 48 anni (di cui già 25 vissuti in convento) posso dire serenamente che una parrocchia affidata a religiosi non è né meglio né peggio di una parrocchia animata dal clero secolare: ciò che fa la differenza è – nell’uno e nell’altro caso – quanto spazio sia dato allo Spirito santo… per essere il vero animatore della comunità.

amplificatori di speranza - articolo per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto.
Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima;
abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Due passeri non si vendono forse per un soldo?
Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro.
Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati.
Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10,26-33)

Domenica XII del tempo ordinario – anno A – Non temete! È la parola chiave che, ripetuta tre volte, conferisce unità al brano. Probabilmente è una unità letteraria che raccoglie quattro detti isolati. La fede esige come disposizione di fondo di non temere. Le tematiche che emergono: proclamazione pubblica del vangelo, (vv. 26-27), la disponibilità ad affrontare il martirio sacrificando la vita fisica per giungere alla vita eterna (v. 28), immagini di fiducia nella provvidenza (vv. 29-31), la professione coraggiosa della fede in Cristo (vv.32-33). Di efficacia notevole le contrapposizioni: velato / svelato, nascosto / conosciuto, tenebre / luce, corpo / anima, riconoscere / rinnegare… che evidenziano le sponde della vita evangelicamente vissuta. I veli della conoscenza si aprono alla luce e sui tetti dell’universo la parola udita nel segreto corre. Tutto dell’uomo è presente al cuore di Dio, e se le creature della terra destano tenerezza quanto più la vita di una creatura-figlio. L’appartenenza fa la differenza nella testimonianza. Non può rinnegare le proprie radici paterne chi vive la figliolanza divina! (cf. ocarm.org)

sabato 24 giugno 2017

8 anni

Otto anni di servizio per la Facoltà Teologica del Triveneto - FTTR e per la Chiesa Triveneta.

Grazie per la grande esperienza maturata e per la fiducia accordata.

«Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!» (Gb 1,21b).



domenica 18 giugno 2017

un solo pane, un solo corpo - articolo per #bibbiafrancescana

Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo,
non è forse comunione con il sangue di Cristo?
E il pane che noi spezziamo,
non è forse comunione con il corpo di Cristo?
Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo:
tutti infatti partecipiamo all’unico pane.
(1Cor 10,16-17)

«E perciò lo Spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli,  è lui che riceve il santissimo corpo e sangue del Signore» (san Francesco, Ammonizioni, I : FF 143).

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO A) – Nella prima lettera ai Corinti Paolo affronta alcune questioni che nella vivace comunità di Corinto provocavano non poche difficoltà. Una di queste era il mangiare o meno le carni degli animali che erano stati offerti agli dei pagani e che poi venivano poste in vendita al mercato. Il principio che offre Paolo è quello della comunione. Chi mangia la carne sacrificata agli idoli entra in comunione con essi e con chi offre loro i sacrifici. Chi invece mangia la carne e il sangue di Cristo entra in comunione con Lui e con tutti coloro che mangiano insieme. Così risolvendo un problema della comunità di Corinto Paolo ci ha lasciato una delle più belle descrizioni dell’Eucarestia.

Paolo ci offre una chiave di interpretazione originale e molto importante. L’unico pane di cui mangiano i credenti, cioè l’unico corpo di Cristo, li mette in una condivisione tanto stretta che essi possono sentirsi un solo corpo. Questo corpo è la Chiesa. La Chiesa è un corpo unico armonizzato nelle sue diverse parti (confronta la celebre pagina di 1Cor 12,12-26), non tanto perché le sue parti sono solidali le une con le altre, ma perché esse compongono il corpo di Cristo. La comunità cristiana è il luogo in cui il Signore si manifesta e aggrega a sé nuovi membri.

domenica 11 giugno 2017

fede in 3d - articolo per #bibbiafrancescana

«Fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda,
abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi.
Salutatevi a vicenda con il bacio santo.
Tutti i santi vi salutano.
La grazia del Signore Gesù Cristo,
l’amore di Dio
e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi»
(2Cor 13,11-13)

“Padre, fedele e misericordioso, che ci hai rivelato il mistero della tua vita donandoci il Figlio unigenito e lo Spirito di amore, sostieni la nostra fede e ispiraci sentimenti di pace e di speranza, perché riuniti nella comunione della tua Chiesa benediciamo il tuo nome glorioso e santo” (Colletta bis della solennità).

Domenica 11 giugno, Solennità della Santissima Trinità – Paolo chiude la sua seconda lettera ai Corinzi, chiamandoli “fratelli” e non “discepoli”, perché è la dimensione della fraternità davanti all’unico Dio-Padre quella che Paolo predilige. Li invita alla gioia; li invita alla perfezione; li esorta ad un mutuo coraggio e alla condivisione dei sentimenti; auspica per loro la pace, perché così “il Dio dell’amore e della pace sarà con voi”. Un insieme di inviti ed esortazioni che definiscono un “gruppo” di credenti che si distingue dall’ambiente pagano: anche il “bacio santo” è una forma di saluto praticato nelle prime assemblee cristiane (1Pt 5,14; 1Cor 16,20; Rm 16,16; 1Ts 5,26) che segna la nuova fratellanza in Dio tra padroni e schiavi, ebrei e greci, uomini e donne. Sono questi “tutti i santi” (ossia i battezzati) che salutano con Paolo la comunità lontana di Corinto… e attraverso la lettera pervenutaci, salutano tutti noi “santi” di oggi!

La lettera termina con una formula che nasce in ambiente liturgico antico e raggiunge pure noi oggi nelle nostre liturgie, nei saluti iniziali o come dossologia prima delle benedizioni. E’ già una (antichissima) professione di fede nella Trinità. “La grazie del Signore Gesù Cristo”: egli è il Signore del mondo e può far grazia ai suoi sudditi; “l’amore di Dio”: l’essenza di Dio è la carità; “la comunione dello Spirito Santo” che ha chiamato il cristiano dalla morte alla vita e continua a muoverlo nel suo impegno di evangelizzazione.