domenica 30 dicembre 2018

santa ma non diversa - post per #bibbiafrancescana

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. (Lc 2,41-52)

Domenica nell’Ottava di Natale – Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, anno C – Il racconto del ritrovamento di Gesù al tempio può essere letto da diverse prospettive: un semplice aneddoto di vita familiare, oppure come la dimostrazione che Gesù era un bambino prodigio. Ma tutto questo è abbastanza marginale. Il significato vero dell’episodio è che si è trattato di una rivelazione dell’identità di Gesù e della strada che egli avrebbe percorso.

Il senso del brano è racchiuso nella domanda della madre e nella risposta del figlio. Troviamo qui la prima parola di Gesù,  l’unica vera dei racconti dell’infanzia e già questo ne suggerisce l’importanza. Una parola, per giunta, di cui i genitori non compresero il significato, tanto era profonda la rivelazione che conteneva. Dicendo «tuo padre» (v. 48) Maria pensava a Giuseppe. Dicendo «mio Padre» (v. 49) Gesù pensava a Dio. Il contrasto è significativo, e sorprende anche per una certa durezza. Gesù afferma la sua origine dal Padre. Nella domanda rivolta ai genitori («Non sapevate che è necessario che io sia nelle cose del Padre mio?»: così afferma letteralmente il v. 49), egli svela la sua obbedienza senza riserve a Dio, tutto concentrato sulle cose che lo riguardano. È in quel «è necessario» – che più avanti Gesù riprenderà per indicare la sua obbedienza sino alla croce (Lc 17,25) – che si nasconde il segreto più sconcertante e più difficile da capire: non semplicemente che Gesù è Messia e Figlio (questo è già stato detto), ma quale Messia e quale Figlio.

martedì 25 dicembre 2018

come sono belli i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero che è la Pace - post per #bibbiafrancescana


Come sono belli sui monti / i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, / che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce, / insieme esultano,
poiché vedono con gli occhi / il ritorno del Signore a Sion.
Prorompete insieme in canti di gioia, / rovine di Gerusalemme,
perché il Signore ha consolato il suo popolo, / ha riscattato Gerusalemme.
Il Signore ha snudato il suo santo braccio / davanti a tutte le nazioni;
tutti i confini della terra vedranno / la salvezza del nostro Dio. (Is 52,7-10)

Natale di Nostro Signore Gesù Cristo – La liturgia del Natale contiene un annuncio così grande che non si può contenere in un’unica celebrazione. E così sono ben quattro le “messe di Natale” che scandiscono il dipanare del racconto della Notizia più incredibile: un Dio che si fa uomo, per l’umanità. Dunque: messa della vigilia, messa della notte, messa dell’aurora e messa del giorno. Un rapido sguardo alla ricchezza di testi che ci vengono proposti.

  • Prima lettura. I testi presentati dal lezionario sono tutti di Isaia e precisamente: Is 62,1-5; 9,1-3.5-6; 62,11-12; 52,7-10. La salvezza di Israele viene come luce nelle tenebre della notte per realizzare un rapporto di tipo sponsale tra Dio e l’umanità. Nel figlio che viene dato si realizzano le promesse, il popolo sa che non è abbandonato. Presente anche il tema della gioia per la venuta del Signore e quello della salvezza per tutti i popoli. I salmi rispondono alle letture riprendendone con molta consonanza i temi.
  • Seconda lettura. I testi sono nell’ordine: At 13,16-17.22-25; Tt 2,11-14; Tt 3,4-7; Eb 1,1-6. At 13 mostra Gesù come il discendente promesso di Davide. I due testi della lettera a Tito vedono in Gesù il manifestarsi della grazia, della bontà e dell’amore di Dio per gli uomini. La lettera agli Ebrei, che va letta in parallelo con la lettura evangelica di Gv 1, vede in Gesù il figlio il cui nome (realtà personale) è superiore a quello degli angeli.
  • Vangelo. Nelle messe rispettivamente della vigilia, della notte, dell’aurora e del giorno sono presentati i testi di Mt 1,1-25; Lc 2,1-14; Lc 2,15-20; Gv 1,1-18. Essi sottolineano nella nascita di Gesù l’adempimento delle promesse di Dio, la «manifestazione della gloria del Signore», la risposta di fede al suo ad-ventus, il farsi uomo del Verbo di Dio.

Umili protagonisti di tanti eventi prodigiosi, i piedi. Così come ne parla ad esempio Isaia 52.

domenica 23 dicembre 2018

I pastori - Lectio Divina di fav per Istituto Teologico S.Antonio Dottore

Mantova, Duomo: bassorilievo posto sul fronte di un sarcofago paleocristiano.
Sono disponibili i contributi multimediali della Lectio Divina proposta da fav per il ciclo di incontri promosso anche nel 2018-2019 dall'Istituto Teologico S.Antonio Dottore a Padova [link].

Nella tematica generale «Le figure "minori del Vangelo» la Lectio di dicembre si soffermava sul tema de: "I pastori. Lc 2,1-20".

QUI è possibile trovare la scheda pdf, il file mp3 e la scheda natalizia "Andiamo fino a Betlemme" col testo di don Tonino Bello che riportiamo qui sotto:

Andiamo fino a Betlemme

Miei cari fratelli, vorrei essere per voi uno di quei pastori veglianti sul gregge, che nella notte del primo Natale, dopo l'apparizione degli angeli, alzò la voce e disse ai compagni: "Andiamo fino a Betlemme e vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere".

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è lungo, lo so. Molto più lungo di quanto non sia stato per i pastori. Ai quali bastò abbassarsi sulle orecchie avvampate dalla brace il copricapo di lana, allacciarsi alle gambe i velli di pecora, impugnare il vincastro e scendere giù per le gole di Giudea, lungo i sentieri odorosi di sterco e profumati di menta. Per noi ci vuole molto più che una mezz'ora di strada. Dobbiamo attraversare venti secoli di storia. Dobbiamo valicare il pendio di una civiltà che, pur qualificandosi cristiana, stenta a trovare l'antico tratturo che la congiunge alla sua ricchissima sorgente: la capanna povera di Gesù. 

una fede, due donne, tre donne - post per #bibbiafrancescana

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,39-45).

IV Domenica di Avvento – anno C – Dopo aver ricevuto l’annuncio dell’angelo Gabriele che sarebbe diventata madre di Gesù, Maria è interdetta e chiede: «Come è possibile?» (cf. Lc 1,34). Per rendere più verosimile e accettabile l’annuncio straordinario di questa maternità l’angelo rivela a Maria che anche la sua cugina Elisabetta è stata toccata da un evento simile e ha concepito un figlio in condizioni umanamente difficili: «Nella sua vecchiaia» (cf. Lc 1,36). Allora Maria si mette in viaggio per vedere quanto l’angelo le ha annunciato. Il semplice incontro tra le due donne si trasforma in qualcosa di rivelativo di ben altro.

L’evangelista vuole presentare la nascita di Gesù come l’ultimo stadio della storia della salvezza cominciata con Abramo. Giovanni Battista è l’anello storico e simbolico di congiunzione tra i due periodi salvifici dell’Antico e del Nuovo Testamento. Nei primi due capitoli del Vangelo di Luca, un “dittico” tratteggia continuamente Giovanni il Battista e Gesù di Nazaret, per mettere in luce la superiorità di Gesù, che verrà sancita dallo stesso Battista quando Luca ne narra l’incontro dei due sulle rive del Giordano, da adulti. Qui – nella narrazione lucana – con la “visitazione” si narra il primo “incontro” dei due mediato dalle madri, due donne che stanno sperimentando nel segreto del loro intimo – fisico e spirituale – la potenza di Dio.

domenica 16 dicembre 2018

che fare? - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo. (Lc 3,10-18)

III domenica di Avvento – anno C – Il testo liturgico di questa domenica appartiene alla sezione che l’evangelista Luca dedica alla predicazione di Giovanni Battista, già protagonista del vangelo della seconda domenica di Avvento.

Il brano si divide in due parti: gli insegnamenti di Giovanni alle folle, ai pubblicani e ai soldati su questioni di carattere morale (vv. 10-14), e il suo annuncio inerente il Cristo (vv. 15-18). Tra i due tipi di insegnamento c’è un rapporto gerarchico: i consigli morali sono i più elementari e regolano la condotta giusta e onesta, ma costituiscono già una modalità di “preparare la strada al Signore”; le indicazioni sul Cristo costituiscono, invece, un’autentica bussola per quanti si recano dal Battista: costoro dovranno rivolgersi a un altro e non a Giovanni per trovare il Messia tanto atteso. La predicazione del Battista è presentata come un’autentica anticipazione del ministero di Gesù. È quanto emerge dalle parole conclusive: «Annunziava al popolo la buona novella» (v. 18), ma anche dall’attività didattica di Giovanni al quale «le folle» (v. 10) si rivolgevano come a un maestro – proprio come accadrà poi per Gesù. Due sono gli elementi importanti.

Innanzi tutto i destinatari del messaggio del Battista: non si tratta di capi, né di funzionari di alto grado, né di gente pia, ma, al contrario, di «pubblicani, soldati», e, genericamente, di «folle». Destinatari preferiti da Luca anche al seguito di Gesù, cui vengono aggiunte, spesso, le donne. Riguardo alle due categorie nominate esplicitamente si tratta di gente al margine della società, e spesso dalla condotta morale riprovevole. Luca sorprende i suoi lettori quando mostra questi soggetti desiderosi, invece, di conoscenza e istruzione. Essi vengono per chiedere: «Cosa dobbiamo fare?». Le risposte del Battista sono «mirate»: ai pubblicani – che si occupavano della riscossione delle tasse – raccomanda di non praticare abusi (attività molto fervida prima di Augusto); ai soldati – giudei odiati dal popolo poiché rafforzavano il potere romano – semplicemente di non approfittare della loro forza materiale a danno dei più deboli. Alle folle, invece, Giovanni non ingiunge nessuna osservanza, nessuna regola, ma solo l’amore fraterno.

domenica 9 dicembre 2018

Parola e voce - post per #bibbiafrancescana

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa:
«Voce di uno che grida nel deserto: / Preparate la via del Signore, / raddrizzate i suoi sentieri! / Ogni burrone sarà riempito, / ogni monte e ogni colle sarà abbassato; / le vie tortuose diverranno diritte / e quelle impervie, spianate. / Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!». (Lc 3,1-6)

II Domenica di Avvento, anno C – Nel disegno narrativo proposto da Luca, Giovanni il Battista ha un ruolo fondamentale, quello di collegamento tra la prima alleanza e la nuova introdotta da Gesù di Nazaret. Nei primi due capitoli già emerge questo tema, in un dittico progressivo tra gli eventi della nascita del Battista e quelli della nascita del nazareno. La missione del primo è quella di preparare l’inizio della missione del secondo. In questa prospettiva la liturgia ci offre in questa seconda domenica di Avvento l’inizio della missione del Battista: il tema della vigilanza e della preghiera (I domenica di avvento, anno C) si amplifica nella dimensione dell’azione: preparare!

La narrazione lucana è molto attenta a presentare il racconto con ogni riferimento che possa scongiurare che stia narrando una favola o una leggenda o un mito. I personaggi citati sono – infatti – i protagonisti della scena politica universale (l’imperatore romano Tiberio Cesare) e locale (Ponzio Pilato, Erode, Filippo e Lisania), nonché le autorità religiose giudaiche (Anna e Caifa). Proprio all’interno degli eventi che condizionano la storia “mondiale” (ossia del “mondo” conosciuto da Luca e i suoi lettori), l’evangelista colloca la parola di Giovanni Battista.

venerdì 7 dicembre 2018

capacità incommensurabili - articolo per #bibbiafrancescana

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe.
La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse:
«Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te»…
(Lc 1,26-28)

In quel “piena di grazia” ci sono una vastità di senso e di “capacità” incommensurabili.

Potrebbero avvicinarsi a quei numeri da capogiro che spesso gli astronomi e astrofisici ci propongono per le loro misurazioni interstellari o intergalattiche. Cifre che nulla dicono – oltre lo stupore – finché non vengono rapportate con qualche esempio comparativo…: e allora lo stupore lascia il posto a alla contemplazione di misteri superiori ai nostri umili sforzi.

In fondo il paragone è anche calzante perché riferito a colei che la tradizione liturgica saluta come “Ave maris stella”, “stella del mare… Maria”. In quell’eccedenza di significato delle parole dell’Angelo – “piena di grazia” – la riflessione umana nella preghiera della Chiesa ha saputo intravedere anche la dimensione dell’Immacolata concezione di Maria. La tradizione orientale la contemplava già dall’ottavo secolo. La tradizione latina ha atteso il 1854 – l’8 dicembre – per la definizione del dogma. Poco meno di quattro anni dopo (25 marzo 1858) a Lourdes una “Signora” dialoga con la giovanissima Bernadette Soubirous e si presenta dicendo: “Io sono l’Immacolata concezione”.

lunedì 3 dicembre 2018

ritiro di avvento 2018 per MFFF - "Un bambino è nato per noi"


Camposampiero, domenica 2 dicembre 2018, I domenica di Avvento.

Ritiro di Avvento per il Movimento Francescano delle Fraternità Familiari.

«Un bambino è nato per noi»
Profezie e attualizzazioni per i nostri tempi difficili.

QUI il materiale del pomeriggio:

  • scheda pdf, 
  • power-point, 
  • audio mp3, 
  • articolo di Pietro Casadio dal "Messaggero Cappuccino" dicembre 2018.



domenica 2 dicembre 2018

cicli liturgici e fine cicli - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo» (Lc 21,25-28.34-36).

I domenica di Avvento, anno C – Pronti a ricominciare? Con la prima domenica di Avvento è tempo di nuovi inizi. Un “capodanno liturgico” che ci trova sempre un po’ spiazzati e impreparati, fuori dagli schemi degli altri calendari: solare, scolastico, lavorativo, dei campionati sportivi… Quello liturgico va proprio per conto suo. Ed è bene così. Perché parla di una relazione/attività diversa da ogni altra: quella con Dio.

E nel ricominciare c’è la consapevolezza che il percorso un po’ è già conosciuto. Cambia la guida (quest’ “Anno C” l’evangelista Luca, il Vangelo della Misericordia…), ma in fondo la conosciamo un po’ perché è la stessa di tre (sei… nove… dodici… etc.) anni fa. Cambia (un po’) la guida, dunque, ma non il percorso. Per qualcuno questo è occasione di pessimismo e noia: ancora tutto uguale!? Eppure – a pensarci bene – l’unica cosa che cambia davvero siamo proprio noi: età diverse, maturità diverse, esperienze diverse, cadute, salite, gioie e dolori…: tutte cose che rendono noi stessi sempre uguali ma ogni anno diversi. Nella constatazione di compagni di cammino forse venuti meno e altri che si sono provvidenzialmente aggiunti. Il “ciclo liturgico” assomiglia allora forse più ad un tandem o risciò dove si è insieme a pedalare, e qualche volta pure a fermarsi per riparare le ruote bucate e sporcarci le mani per rimettere su la catena caduta. Ma – insieme – verso la meta.

All’interno di questa ciclicità delle cose (non solo liturgiche, anche le stagioni “che non sono più quelle di una volta”, o le stagioni della vita…) ci si accorge che parlare di cose ultime, di cose che chiudono la ciclicità, beh… un po’ di ansia c’è: no? Forse è proprio qui il segreto ed il senso del vangelo proposto oggi prima domenica di Avvento di quest’anno: accompagnare l’ansia e senso di vuoto con una parola che offre “un fine” (uno scopo) piuttosto che “la fine”.

domenica 25 novembre 2018

C’era una volta un re - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18,33b-37).

XXXIV domenica del tempo ordinario – anno B – Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo – «— C’era una volta…. — Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori. — No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno…»: persino nel mondo delle favole ad un certo punto c’è stato qualcuno che ha messo un punto di rottura/non ritorno con la stantia banalità del Re protagonista del racconto (Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, 1883). Anche la solennità proposta dalla liturgia nell’ultima domenica dell’anno liturgico – seppur nata in un preciso e conflittuale momento storico per noi un po’ remoto e oggi di non facile comprensione – rimanda alla suggestione di un titolo “regale” riferito a Cristo, che però va compreso nella sua essenza dirompente e di rottura con l’immaginario significato collettivo.

Il brano evangelico giovanneo proposto per questo “anno B” mette proprio in luce lo smarrimento e la fatica di questo cambio di significato: è Ponzio Pilato colui che è testimone smarrito di questo cambio di prospettiva. Il processo davanti a Pilato ha nell’evangelista Giovanni un notevole sviluppo e significato teologico, con lo scopo di mettere in luce la novità della regalità di Gesù. Regalità che solo nella tragedia della passione si manifesterà pienamente.

  1. Pilato dialoga fuori coi giudei sul capo d’accusa (18, 28-32).
  2. Gesù e Pilato, all’interno, dialogano sulla dignità regale (18, 33-38a).
  3. Pilato, fuori, proclama l’innocenza di Gesù; i giudei reclamano Barabba (18, 38b-40).
  4. Gesù è incoronato di spine dentro il pretorio (19, 1-3).
  5. Pilato riconduce Gesù ai giudei e lo dichiara innocente fuori dal pretorio (19, 4-7).
  6. Pilato interroga Gesù, all’interno, sulla sua origine: Da dove sei tu? (19, 8-11).
  7. Pilato proclama Gesù “re dei giudei” (Ecco il vostro re… Metterò in croce il vostro re?), ma viene accusato dai giudei di porsi contro Cesare (19, 12-16).


Tutti gli evangelisti riportano la domanda: “Sei tu il re dei Giudei?”, ma solo Giovanni riporta il dialogo tra Pilato e Gesù, mentre i sinottici riportano solo una breve risposta di Gesù, che da quel momenti si chiude in un misterioso silenzio simile a quello del Servo sofferente di Isaia (53,7). La risposta di Gesù rappresenta il vertice del dialogo: egli afferma che il suo regno non è di origine terrena, ma viene dall’alto, è spirituale, non si fonda sulla potenza umana. Nel lessico giovanneo la verità consiste esattamente nella piena rivelazione della bontà del Padre.

domenica 18 novembre 2018

“la fine” o “il fine”? - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre» (Mc 13,24-32).

Domenica XXXIII del tempo ordinario – anno B – L’anno liturgico va compiendosi e la liturgia propone una riflessione sulle cose ultime sempre secondo l’insegnamento trasmesso dall’evangelista Marco, nel capitolo 13, con la sua struttura: in esso infatti Gesù risponde all’interrogativo formulato inizialmente da Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea sul tempo della distruzione di Gerusalemme (v. 4: dicci quando questo accadrà, e quale sarà il segno che tutte queste cose stanno per compiersi), soffermandosi sui segni terribili che accompagneranno la cosiddetta “grande tribolazione” della città: guerre, carestie, persecuzioni, falsi profeti (vv. 5-23). Questo capitolo raccoglie una o più tradizioni ebraiche cristianizzate e parole di Gesù trasmesse dalla tradizione. Marco scrive alla Chiesa di Roma sottoposta alla persecuzione: probabilmente desidera placare il timore che si era impadronito della comunità dopo la distruzione del tempio, considerata come il segno annunciatore della fine ormai prossima del mondo. Per questo motivo Marco distingue nettamente i diversi tempi della tribolazione e quelli della venuta finale di Cristo; gli svariati e difficilmente interpretabili segni negativi e l’unico avvenimento positivo: il ritorno del Cristo nella gloria. Il brano proposto dalla liturgia domenicale si innesta proprio a questo punto, preannunciando gli eventi nuovi che seguiranno la “grande tribolazione”.

Sottolineiamo la dimensione positiva della “fine”. Non è infatti “la fine” del discorso della storia, ma si mette in rilievo “il fine” di questo senso della storia. Il Figlio dell’Uomo – infatti – “riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo”. Dunque la prospettiva è quella di un incontro, non di un nulla. Si viene convocati da chi ci conosce ci ama. Era una promessa antica: «Allora il Signore tuo Dio cambierà la tua sorte, avrà pietà di te e ti raccoglierà di nuovo da tutti i popoli in mezzo ai quali il Signore tuo Dio ti aveva disperso. Quand’anche i tuoi esuli fossero all’estremità dei cieli, di là il Signore tuo Dio ti raccoglierà e di là ti riprenderà» (Dt 30,3-4). Lo stupore è che in Gesù Cristo la promessa si compie nel modo più radicale: è vinta la morte, è promessa per tutta l’umanità che crede in lui e al suo Vangelo, alla sua buona notizia, alla sua Parola.

domenica 11 novembre 2018

due per uno - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,38-44).

XXXII Domenica del tempo ordinario – anno B – Ultime domeniche dell’anno liturgico, anno B, anno marciano: ultimi insegnamenti da questo evangelista che – come è detto dalla tradizione, il catechista – accompagna il lettore/catecumeno a conoscere il “Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” (1,1). E lo sguardo del catechista si affina e diventa insegnamento a guardare il mondo con gli occhi di Gesù, con gli occhi di Dio. Prudenza nel giudizio, dunque!

Riprende la polemica contro gli scribi (ricordata, ma senza ostilità in 12,28 e 12,35). Questo discorso non tiene più conto di eccezioni come lo scriba di 12,28-34 (il Vangelo di domenica scorsa) e formula una condanna globale dell’orgoglio, della rapacità e dell’ipocrisia di una casta. Lo stesso tema, sviluppato molto più diffusamente, si trova in Matteo 23,13-32 e Luca 11,45-52.

Il Tesoro di cui si parla non è il luogo (interdetto al pubblico) dove erano conservate le ricchezze del tempio, ma dove erano collocate le cassette destinate a raccogliere le offerte (2Re 12,10 ne attribuisce l’istituzione al capo dei sacerdoti Ioiada). Gesù, che ha espulso i mercanti (11,15), non approva le pratiche finanziarie a beneficio del tempio. Ma il tesoro è l’occasione di un gesto che provoca la sua ammirazione.

domenica 4 novembre 2018

quanto dista il regno di Dio? - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo. (Mc 12,28b-34)

Domenica XXXI del tempo ordinario – anno B - “Non sei lontano dal regno di Dio”, risponde Gesù allo scriba che ha capito il comandamento che sta a principio della legge. Non è lontano, ma, per entrarvi, gli manca una cosa: amare Gesù, il Signore che gli si è fatto vicino. Il brano conclude dicendo che nessuno più osava interrogarlo. Solo dopo la croce ci sarà uno – Giuseppe di Arimatea – che attendeva “il Regno” e “osò” “chiedere”. Ebbe in dono il corpo di Gesù (15,43ss). Infatti solo lì sappiamo chi è il Signore: colui che per primo ci ha amati.

“Ascolta Israele”. Queste parole (in ebraico: Shemà Israel) sono quelle che iniziano la grande preghiera ripetuta incessantemente dagli ebrei. Il comandamento dell’amor di Dio (Dt 6,5) e quello dell’amore del prossimo (Lev 19,18) si trovano in due passi differenti della legge, e il secondo riguarda senz’altro solo i “vicini” e non tutti gli uomini. Gli ebrei avevano già l’abitudine di accostare l’uno all’altro questi due comandamenti, che per Gesù costituiscono l’essenza della legge: lo scriba approva pienamente questo accostamento proposto da Gesù.

Gesù presenta un itinerario-cammino in progressione: la richiesta di un amore dell’uomo verso Dio, compito inesauribile, come indicato dall’uso della formula: Amerai. Questa forma verbale, oltre al valore dell’imperativo associa anche l’idea di progressività, di incompiutezza. C’è sempre un futuro in questo comandamento, un nuovo futuro. L’amore è un compimento che non ha mai fine, ma trova nuove strade, nuove realizzazioni, nuove espressioni.

La caratteristica dell’amore a Dio è la totalità. L’esclusività! Tutto il cuore, l’anima e la mente: niente sconti!

domenica 28 ottobre 2018

a squarciagola - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!».
Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato».
E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada. (Mc 10,46-52)

Domenica XXX del tempo ordinario – anno B – Gesù, proseguendo a salire verso Gerusalemme, ha appena annunziato per la terza volta la sua passione e risurrezione. All’uscita da Gerico guarisce nuovamente (8,22-26) un cieco. Questi, appena vede, si mette a seguire il figlio di Davide sulla via che porta verso il Getsemani e il Golgota. Allo stesso modo il discepolo di Gesù illuminato dalla fede vede che la fedeltà lo porta dietro al suo Maestro sulla via della croce e della Pasqua.

Il vangelo non è un racconto ma un annuncio. Raccontando la guarigione del cieco, Marco propone un chiaro insegnamento in funzione del cammino della fede e della sequela di Gesù. Si parte dall’incontro di Gesù che passa, si afferra la sua presenza negli avvenimenti quotidiani, pur negli ostacoli che la nascondono, ci si rimette alla sua iniziativa. Allora, al pari del cieco, si è oggetto dell’attenzione di Dio, si intreccia un dialogo libero da ambo le parti, e si aprono gli occhi materiali e spirituali, si riceve la luce della fede, che impegna a seguire il Maestro. Questi i tratti dell’iniziazione alla fede, descritti da Marco sullo schema della guarigione del cieco.

Interessante notare che ci troviamo alla conclusione di una lunga sezione del Vangelo di Marco che inizia in 8,22-26 con la guarigione di un cieco senza nome e si conclude con la guarigione di un cieco con un nome, Bartimeo; il primo viene accompagnato da Gesù, il secondo è raggiunto da Gesù (nonostante l’opposizione dei discepoli); il primo è guarito nel nascondimento, il secondo davanti a tutti; il primo è guarito con gradualità, il secondo all’istante dopo la sua richiesta di bisogno e di affidamento a Gesù; il primo ritorna nella sua casa, guarito, il secondo diventa discepolo nella sequela. All’interno della sezione evidenziata, la lunga e paziente catechesi di Gesù per chiarire a Pietro e ai discepoli che significa davvero essere “il Cristo” (8,30): un lungo e paziente – raramente impaziente! – cammino per “pulire lo sguardo e le attese” dei discepoli sul Cristo-Messia. Anticipo di quella fine di cammino che permetterà poi di “vedere” il Risorto!

mercoledì 24 ottobre 2018

"Cantico delle creature" di san Francesco in dialetto zoldano

la chiesetta di San Francesco d'Assisi
a Forno di Zoldo BL
Ospito volentieri nel mio blog la traduzione in dialetto zoldano del "Cantico delle Creature" di san Francesco d'Assisi, proposta dall'amico & poeta Stefano Talamini.
Il testo è raccolto dal blog "Il giornale di Rodafà" che ringrazio per la diffusione del testo (link).
Dopo il testo il plug-in SoundCloud per ascoltare il testo dalla voce del traduttore.



O Signor, cossita grant e bon,
solche a Ti se à da fa laude, onor e benediẑioign.

Solche a Ti, Signor, le se confà

e neguint cadù  l’é degn de Te menẑonà.

Che i te laude, Signor, par dut chel che te à fat,

e in speẑie par nost fradel al sol,
che par tua graẑia al ne fa lum via par al dì.

E l’é bel e al fa an gran lustre:

e cossita al ne insegna valch de Ti.


Che i te laude, Signor, par nosta sòr la luna e par le stéle:

su in ẑiel te le à fate ciare, de valor e bele.

Che i te laude, Signor, par nost fradèl al vent

e par al ẑiel sarén o co le neule o con sa tenp,
che in ogni caso al vedoléa la dént.

Che i te laude, Signor, anca par l’aiva

nosta sòr umile, valenta, saurida e s-cèta.

Che i te laude, Signor, par al fuach

nost fradèl che al ne fa ciar de not
e te lo à fat bel e contént e cotànt forte.

Che i te laude, Signor, par nosta mare la tera,

che ne arleva e ne dà da tetà,
e la ne dà fiór incolorì, fruti  e erbe.

Che i te laude, Signor, par chi che sa perdonà par amor Tuo

e i soporta malaign e tribolazioign.

Beati chi che le soportarà,

parchè da Ti i sarà incoronai.

Che i te laude, Signor, par la mort de al corp,

che tant no se ghe scanpa a chesto mondo:
guai a chi che morirà in pecà mortàl;
beati chi morirà rispetóss de la Tua santissima volontà
che chela autra mort no ghe farà mal.

Laudé e benedì al Signor e ringraẑielo

e servilo senpre cotànt mestech.


Traduzione di Stefano Talamini

domenica 21 ottobre 2018

non “a destra di” o “a sinistra di”, ma “con” e “come” Colui che serve - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,35-45).

Domenica XIX del tempo ordinario – anno B - Per la terza volta, e più esplicitamente che mai, Gesù annunzia ai discepoli che sale a Gerusalemme per subirvi la Passione.

Giacomo e Giovanni sollecitano per sé privilegi e mostrano così quanto stentano a capire l’insegnamento sulla sofferenza del Figlio dell’uomo. Un po’ come i bambini che sanno di chiedere ai genitori una cosa quasi impossibile da ottenere e dicono: “Adesso ti faccio una domanda e tu mi dici di sì!”. Pure loro: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Gesù ascolta questa “bambinata”, l’accoglie come aveva accolto i bimbi qualche versetto prima… Ma una volta accolta Gesù coglie l’occasione per dire che il suo modo di esaudire gli uomini consiste nell’associarli a lui nel mistero attraverso il quale li salva. Lo schema dell’annunzio è sempre lo stesso: l’annunzio (10,33-34) è seguito da una manifestazione di incomprensione dei discepoli (10,35-37) e poi da un insegnamento sul modo di seguire il Cristo (10,38-40).

domenica 14 ottobre 2018

questione di sguardi, post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà» (Mc 10,17-30).

Domenica XXIV del Tempo ordinario – anno B - Continuando a preparare la venuta del regno di Dio, Gesù parte dalla ricchezza. Ne parla in termini di rinunzia e di rottura. Solo una cosa è di impaccio all’uomo che vorrebbe entrare nella vita: il suo attaccamento a tutto quello che possiede. I discepoli invece riceveranno il centuplo e la vita come ricompensa al loro distacco. Quale ostacolo sono le ricchezze, dice Gesù, per tutti quelli che le possiedono! O il denaro o il regno, alternativa evangelica di fronte alla quale resteranno «rattristati» oppure «stupefatti» gli uomini di tutti i tempi. Tutto questo passo riguarda le ricchezze e il distacco che si impone a quelli che cercano il regno di Dio. È composto di tre o quattro sezioni, forse distinte in origine: a. l’incontro dell’uomo ricco: 10,17-22; b. un dialogo sui ricchi e la salvezza: 10,23-27; c. un altro dialogo sulla rinunzia e le ricompense: 10,28-30; d. una sentenza finale: 10,31. Certo, i diversi paragrafi si rivolgono a quanti si attaccano alle ricchezze materiali. Ma possono avere in più un altro senso. Al di là del caso personale, l’uomo ricco potrebbe rappresentare Israele, fedele alla legge, avido di sapienza e nello stesso tempo affascinato da Gesù. Le ricchezze che ostacolano quest’uomo sono di ordine materiale, quelle di Israele di ordine spirituale. Queste ultime sono le più difficili da abbandonare per seguire Gesù e accettare di essere salvati da lui, gratuitamente.

«Fissatolo, lo amò». Marco ricorda spesso lo sguardo di Gesù, in momenti particolarmente importanti dei suoi incontri con la gente (vedi 3,5.34; 5,32; 10,23; 11,11). Solo Marco ricorda lo sguardo e l’affetto che Gesù porta per l’uomo ricco. È questo l’unico passo dei Sinottici che segnala che Gesù ama, mentre in Giovanni se ne fa spesso menzione. Vedi per esempio Giovanni 11,5; 13,1; 19,26.
È bello esser fedele a tutti i comandamenti, ma non è tutto. Questo anzi rischia di indurre il credente al senso di sufficienza: può praticare i comandamenti per essere in regola con Dio. Da questa pratica può, come il fariseo di Luca 18,11-12, trarre la conclusione che non è «come gli altri uomini», che non ha nulla da rimproverarsi, che è perfetto. Questa cosa sola manca a quest’uomo, come pure a Israele: «vendere quello che ha», per mettersi a seguire Gesù.

Gesù ha preso sul serio la generosità di quest’uomo. Tutto il movimento di accoglienza che attraversa questa vita, grazie alla pratica della legge amata fedelmente, sfocia in questo incontro a faccia a faccia, all’invito di fare il passo decisivo per entrare nel regno. Ma, almeno attualmente, inciampa davanti alla necessità dello spogliamento per poter seguire Gesù. Se ne va «afflitto», non a motivo dei suoi beni in se stessi, ma per il fatto del suo attaccamento e per il rifiuto di abbandonare le sue ricchezze. Ma la tristezza è segno sicuro che la chiamata di Gesù lo ha toccato e che il suo atteggiamento non è conforme al suo desiderio più profondo.

domenica 7 ottobre 2018

durezza di cuore, tenerezza di Dio, post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro. (Mc 10,2-16)

XXVII Domenica del tempo ordinario – anno B – I farisei compaiono ad ogni angolo sulla strada che porta Gesù a Gerusalemme. Cercano di prenderlo nel trabocchetto delle loro domande. Ma Gesù approfittando della controversia, comunica ai discepoli il suo sentimento profondo sul matrimonio: la volontà di Dio coincide con l’amore che dura per tutta la vita. La realtà di tutti i giorni fa costatare che i cuori si induriscono e così tante coppie arrivano al divorzio.

Chi abbandona il proprio coniuge non viene giustificato da Mosè. I farisei si riferiscono a questo testo: «Si dia il caso di un uomo che ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito e poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, ha dunque scritto per lei un libello di ripudio e glielo ha consegnato in mano e l’ha mandata via dalla casa…» (Deuteronomio 24,1). Ma la loro interpretazione è abusiva. Mosè (secondo il Deuteronomio nella traduzione data sopra) prende atto dell’usanza del divorzio, senza né prescriverlo né permetterlo. L’ordine che dà si limita all’obbligo per giustizia di redigere per la donna mandata via un atto di ripudio.

domenica 30 settembre 2018

chirurgia spirituale - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» (Mc 9,38-43.45.47-48).

Domenica XXVI del tempo ordinario – anno B - Marco riassume qui alcune sentenze di Gesù. Vuole insegnarci alcune norme pratiche di comportamento: la tolleranza verso tutti; il vivere nella carità senza scandalizzare nessuno; la sequela radicale, a costo di qualunque distacco. Probabilmente abbiamo qui l’eco di problemi che i primi cristiani si sono posti in circostanze simili. Bisogna esser capaci di distinguere i veri inviati. Una cosa è il tentare di estorcere un potere (come ha voluto fare ad esempio Simon Mago in Atti 8,9-24) e un’altra cosa è invece agire in nome di Gesù in quanto suo inviato. È interessante mettere questa parola a confronto con un’altra che la completa. In Luca 11,23 Gesù dice (al singolare): «Chi non è con me, è contro di me». Si pone in una prospettiva dove si difende personalmente dall’accusa di agire con il potere di Satana. Lo scopo di Marco è diverso. Considera qui la vita della Chiesa e sottolinea che i Dodici sono responsabili della sua coesione. Anche le formule «per noi», «contro di noi» riconoscono ai Dodici la qualifica di essere, come il Cristo e in suo nome, quelli che assicurano l’unità della Chiesa.

«Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa»… «La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,9-10). La carità-amore come segno di appartenenza a Cristo, per chi la fa in Cristo e per chi la riceve in Cristo…

giovedì 27 settembre 2018

dove sono stato - geo map

la mappa mondiale dell'atlante allegata al "Liber secretorum fidelium Crucis" di Marino Sanudo. 
Lo manda in Vaticano nel 1321 ed è ancora lì come MS. I.V.A. Lat. 2972 presso la Biblioteca Vaticana. 
Probabilmente fu disegnato da Pietro Vesconte nel 1320.

Un pro memoria dei viaggi di fav...

mercoledì 26 settembre 2018

appunti sulla povertà evangelica e francescana

Un incontro con le sorelle Monache clarisse di Montagnana in avvio della novena di san Francesco 2018.

Tema: la povertà evangelica e francescana.

Materiali pdf e mp3 QUI.

Pax et bonum, fav

domenica 23 settembre 2018

silenzi imbarazzanti - post per #bibbiafrancescana

“In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato»” (Mc 9,30-37).

Domenica XXV del Tempo Ordinario – anno B - Gesù riconosciuto come Messia sale a Gerusalemme. I discepoli cominciano ad immaginare un maestoso ingresso del re inviato da Dio nella sua capitale: il trionfo di Cristo sarà anche il loro trionfo! Gesù spiega loro per la seconda volta che cammina verso la sua morte. Essi non comprendono. Si preparano allora discutendo di precedenze…: chi è il più grande?

Il breve passo sembra composto da due frammenti: 1. il secondo annunzio della Passione (9,30-32); 2. un insegnamento di Gesù sulla vera grandezza, a proposito di una disputa sorta tra i discepoli (9,33-35). In realtà, come si è già capitato in 8,31, abbiamo la solita struttura, che ritorna tre volte: a. annunzio della Passione (9,30-31); b. incomprensione dei discepoli (9,32); c. insegnamento di Gesù sul modo di seguirlo (9,33-35). A differenza di Giovanni, il quale suppone parecchi viaggi di Gesù tra la Galilea e la Giudea, gli evangelisti sinottici ricordano una sola andata a Gerusalemme, quella che conduce Gesù verso il suo sacrificio. Appunto nel corso di questa salita annunzia per tre volte la sorte tragica che gli è riservata. La rapida traversata della Galilea, durante la quale Gesù evita di farsi riconoscere, corrisponde alla prima fase del viaggio verso Gerusalemme.

Marco, sotto l’influsso della più costante predicazione pasquale (Atti 2,23-24; ecc.), all’annunzio drammatico della morte aggiunge quello della risurrezione. Ma Gesù è consegnato dagli uomini o da Dio? In Marco, di solito, è Giuda che consegna Gesù ai suoi nemici: 3,19; 14,10.11.18.21.42.44. Sono anche i sommi sacerdoti che lo consegnano a Pilato: 15,1; oppure Pilato che consegna Gesù ai carnefici: 15,15. Ma il verbo al passivo può anche essere un modo, ben noto negli ambienti ebrei dell’epoca, di ricordare Dio senza nominarlo, per rispetto. Gesù ha visto attuarsi nella sua Passione il disegno del Padre, che l’abbandona nelle mani degli uomini: «Egli non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi» (Lettera ai Romani 8,32).

domenica 16 settembre 2018

identità cruciali - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8,27-35).

Domenica XIV del tempo ordinario – anno B - L’essenziale del messaggio evangelico è di rivelare che in Gesù di Nazaret abbiamo il Salvatore promesso da Dio. Di conseguenza la scena in cui Pietro, primo fra tutti i cristiani, proclama pubblicamente, per convinzione personale e in nostro nome, che Gesù è il Messia, è una pagina centrale del vangelo; nei capitoli precedenti a poco a poco Marco ha posto la domanda: « Chi è Gesù?». A partire dalla proclamazione di Pietro a Cesarea, il seguito del vangelo insegnerà quale via Dio traccia al Messia e a quelli che credono in lui. Anche strutturalmente, siamo esattamente a metà della narrazione di Marco che è in 16 capitoli. Gesù affronta un lungo cammino fino a quando riesce a ottenere da Pietro un primo atto di fede. La seconda tappa sarà ancor più dura: gli occorrerà far accettare la sua vera missione messianica attraverso la propria morte e risurrezione.

Con la sua risposta Pietro identifica Gesù con qualcuno che è essenziale nella storia di Israele, colui nel quale Dio compie un intervento decisivo in favore del suo popolo. I cristiani mettono spontaneamente nella dichiarazione di Pietro un riconoscimento della divinità di Gesù. Marco non afferma tanto. Dice soltanto — ma è già moltissimo! — che il Dio Salvatore è all’opera in modo unico nella persona e nel-la missione di Gesù. Il nostro titolo di Messia, ricalcato sulla parola ebraica Mashiah, viene tradotto in greco con il termine equivalente Christós, da cui deriva l’italiano Cristo. Questo titolo si applicava originariamente al re consacrato con l’unzione in vista di una responsabilità contemporaneamente politica e religiosa. Sotto la forma di Christós, che è quella usata da Marco, poiché scrive in greco (vedi 1,1), questo titolo diventerà ben presto (vedi Paolo, fin dalle sue prime lettere) il nome abituale, si sarebbe tentati di dire il soprannome, di Gesù risorto. Attribuendo questa risposta a Pietro (e tutto il vangelo ci dice che era appunto Pietro colui che prendeva l’iniziativa nei momenti decisivi) Marco suggerisce il primato di Pietro, che Matteo sottolineerà con molta forza a proposito dell’identico episodio (16,18). La parola Christós è usata soltanto cinque volte da Marco, ma sempre in momenti importanti: 1,1; 8,29; 12,35; 14,61; 15,32.

domenica 9 settembre 2018

ascolti - post di fav per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!» (Mc 7,31-37)

Domenica XXIII del Tempo ordinario – anno B – Nella narrazione marciana Gesù si trova in un territorio pagano. Dove ha già liberato dal demonio una bambina, Gesù guarisce ora un sordomuto. E le folle proclamano che egli adempie le profezie che annunziano come il Messia farà udire i sordi e parlare i muti. La comunità dei credenti nel risorto è dunque chiamata a lasciarsi continuamente aprire le orecchie e reimparare ad ascoltare, allo scopo di poter proclamare la Parola che libera.

E’ questo un racconto esclusivo di Marco. Come nel passo precedente, Gesù guarisce un pagano: ora si tratta di  un sordomuto. Un po’ più avanti (8,22-26) guarirà un cieco. In queste guarigioni si percepisce un insegnamento sempre attuale: Gesù guarisce ancora: le orecchie dei sordi si aprono per sentire la parola di Dio; il muto può parlare per confessare la sua fede; il cieco potrà riconoscere l’inviato di Dio.

E la dinamica è importante: non può parlare chi non ascolta; con l’ascolto poi arriva la parola. Dunque il primato è nell’ascolto, come da sempre nella rivelazione: “Shemà Israel!”, Ascolta Israele (Dt 6,4).

Si è sordi per incapacità di percepire suoni… ma è sordo pure chi è immerso nel rumore o frastuono: non è capace di distinguere nulla. Oggi più che mai necessitano luoghi e tempi e spazi di “silenzio” esteriore e interiore, lontani dal frastuono di sollecitazioni multimediali che ormai avvolgono la nostra quotidianità. Altrimenti… non si ha più nulla da dire!, ammutoliti da tale particolare sordità.

lunedì 3 settembre 2018

fav per MFFF - Pellegrinaggio ad Assisi, san Francesco e la fraternità


Il 31/08-02/09/2018 il Movimento Fraternità Familiari Francescane di Camposampiero ha organizzato un pellegrinaggio ad Assisi per le famiglie interessate a condividere un tempo di svago e di riflessione e preghiera.

Fav ha condiviso due momenti di approfondimento:
  • Fraternità... perché c'è un Padre!
  • Da un Padre... ci si scopre fratelli e sorelle!
QUI sono disponibili le due schede in PDF e i due file mp3.




domenica 2 settembre 2018

dal “bon ton” alla “buona novella” - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». […]
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». [...] E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo» (Mc 7,1-8.14-15.21-23).

Domenica 22ma del Tempo Ordinario – anno B – Torna nelle domeniche dell’anno B il vangelo di Marco, dopo la lunga sezione di domeniche caratterizzate dalla proposta del vangelo di Giovanni sul tema del pane. Dopo aver guarito le folle, Gesù è di nuovo fatto segno di contrarietà da parte delle autorità religiose. Gli viene rimproverata in questo caso l’impurità rituale dei suoi discepoli: prendono cibo senza essersi prima lavate le mani. Gesù si erge contro la considerazione di una purità meramente esteriore: essa è senza vita; può perfino camuffare la vera impurità, quella che sgorga dal cuore dell’uomo. Di fronte a una pratica, secondo la quale le osservanze esteriori sono diventate l’essenziale, Gesù insegna quello che ai suoi occhi è davvero puro.

Non è dunque questione di “galateo” o di “bon ton”, ma la possibilità di far emergere nella sua freschezza dirompente la “buona notizia” eu-vangelion della proposta “liberante nell’essenziale” di Cristo.

Qui non si tratta solo di una discussione su minuzie o di un problema di “dosaggio” tra i comandamenti di Dio e la loro interpretazione umana. Il vero problema è quello che pone al cristianesimo nascente il contatto con i pagani e la loro accoglienza nella comunità cristiana. Bisogna imporre ad essi le prescrizioni del mondo ebraico? La questione viene sollevata in Atti 15 in seguito alla prima missione apostolica di Paolo; essa sarà risolta soltanto a un livello più profondo: come si ottiene la salvezza? Mediante l’integrazione alla religione ebraica e l’osservanza di tutti i precetti, o piuttosto mediante la fede in Gesù Cristo?

domenica 26 agosto 2018

durezze e direzioni, post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,60-69).

Domenica XXI del Tempo Ordinario – anno B – Ci troviamo all’epilogo del lungo “discorso sul pane” del capitolo VI del Vangelo secondo Giovanni. E non è del tutto a lieto fine. Perché il Vangelo non è una favola! Sono infatti i discepoli e non “le genti” a esclamare che “la parola è dura. Chi può ascoltarla?”. Durezza della Parola? Durezza di udito? Durezza di cuore?…

La parola è dura? E’ intesa come dura. Usando lo stile proverbiale, Gesù oppone la carne allo spirito (vd 3,6) come fanno altri autori biblici. Quando Isaia (31,3) proclama: “L’egiziano è un uomo e non un dio, i suoi cavalli sono carne e non spirito”, il senso dell’opposizione è chiarissimo: da una parte ciò che non ha nessun potere vero, ogni creatura nella sua fragilità; dall’altra Dio, l’unico che dà la vita. Gli uditori di Gesù sono rimasti a questo livello. Hanno visto in lui soltanto il “figlio di Giuseppe”; per loro “la carne e il sangue” di Gesù erano solo il suo corpo mortale. Non potevano quindi capire l’insegnamento di colui che è “disceso dla cielo” per fare della sua “carne” – consegnata per il sacrificio e poi glorificata – la sorgente di vita eterna.

La parola è dura? E’ intesa come dura. E Gesù chiede se essa “scandalizza”. In greco lo scandalo è qualcosa di duro contro cui inavvertitamente si incespica, un ostacolo infido e ostile. Giovanni usa tale termine solo qui e in 16,1 e in 1Gv 2,10. Ha un senso molto forte: dice che la fede è messa in grave pericolo. Infatti a causa di questo “incespicare” alcuni discepoli non andranno oltre, abbandonando Gesù (6,66). E’ l’inizio dell’isolamento nel quale Gesù affronterà la Pasqua. Il Regno non si instaura in forza di un movimento popolare. E’ opera di fede.

Giovanni conclude il discorso di Cafarnao con una scena drammatica: Pietro – nello sbandamento dei discepoli – proclama come può la sua fede in Gesù parlando con “un plurale” che sa tanto di farsi coraggio per non sentirsi solo nella “pazzia” di seguire ostinatamente non tanto quella parola dura ma la Persona che la propone. I sinottici collocano la professione di fede di Pietro in un contesto diverso: tuttavia diversi indizi invitano a considerare il racconto giovanneo come l’equivalente della scena di Cesarea (Mc 8,27-33; Mt 16,13-23; Lc 9,18-22). Ossia: il ruolo maggiore di Pietro nella fedeltà dei Dodici; il ricordo – al momento della professione di fede, della presenza attiva del tentatore tra i Dodici (Gv 6,70); l’imminenza della partenza dalla Galilea e l’andata a Gerusalemme.

domenica 19 agosto 2018

alla ricerca della bambina nascosta

La lunga e ordinata serie di girelli e ausili alla deambulazione mi accoglie come sempre nel corridoio che introduce alla Chiesa.
Tra questi sbuca inaspettato un passeggino per bebè, con tanto di bambolotto ben disposto in attesa di essere nuovamente abbracciato – presumibilmente – dalla sua piccola proprietaria.

“Oggi a messa ci sarà una bambina” – penso tra me preparandomi per la messa – “sarà una nipotina di qualche ospite della Casa di Riposo…”.

La celebrazione procede serena e partecipata grazie all’animazione attenta e calorosa delle suore. Mi accorgo presto che non siamo né distratti né disturbati da nessuna bimba irrequieta dalle costrizioni della liturgia. “Dormirà…” – penso tra me – “oppure sarà una bimba tranquilla vicino alla sua nonna…”.

Come sempre al momento della Comunione comincio a girare con pazienza tra i banchi e le sedie a rotelle degli ospiti che non riescono a raggiungere l’altare con le loro gambe. Sono tanti, il giro occupa tutte le strofe possibili del canto eucaristico. “Chissà dove è nascosta la bimba” – penso ancora – “ma nel labirinto dei banchi e delle file la troverò…”.

E infatti la trovo.

Una donna, sugli ottanta anni, ben curata, un po’ ingobbita ma con abito vivace, uno sguardo dolce e un po’ trasognato: si alza per ricevere la Comunione. Non tende la mano per ricevere quel Gesù che oggi ci ricordava essere il pane della vita eterna. Non può tendere la mano. Le mani sono occupate. Tengono un bambolotto di pezza. Con cura. Con affetto. Con delicatezza il bambolotto torna nel grembo della donna mentre si siede.

Intuisco qualcosa, ma il mio giro con Gesù eucarestia deve proseguire. Poi termina la messa e “...andiamo in pace!”. Ma la mia pace deve trovare ancora dimora per le domande che affollano la mia testa, non ancora il mio cuore come presto accadrà.