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domenica 30 giugno 2019

La Bibbia in dialogo con le Fonti Francescane – articolo per “San Bonaventura Informa”


Pubblichiamo qui – con il permesso di “San Bonaventura Informa” – l’articolo estratto dalla rivista di giugno 2019 dove fr.Andrea Vaona presenta il progetto “Bibbia Francescana” e il percorso fatto.
LA BIBBIA IN DIALOGO CON LE FONTI FRANCESCANE
Cresce in rete il progetto editoriale e di comunicazione nato sotto le cupole della Basilica di Sant’Antonio di Padova
Giugno è mese antoniano per eccellenza, con la festa di sant’Antonio di Padova (da Lisbona), frate minore, il 13 giugno. Frate Antonio è sempre stato raffigurato con il libro della Parola di Dio in mano (ancorché poi con giglio e Gesù bambino in braccio o con la fiamma ardente). Appassionato predicatore e fine teologo del suo tempo, Antonio ottenne la benedizione di Francesco d’Assisi per il suo servizio di insegnante presso i frati (che nella prima ora francescana spesso erano bisognosi di nozioni sicure circa la fede, anche per non essere scambiati con gruppi ereticali). E se Francesco insegna ai frati di saper leggere il libro della croce di Cristo (quando fossero sprovvisti di libri della Sacra Scrittura, cf. Leggenda Maggiore 4,3 : FF1067, e anche per questo viene spesso raffigurato con un crocifisso in mano), Antonio aiuta a sfogliare con sapienza il Libro della Scrittura Sacra (ne sono un esempio i suoi Sermoni).

venerdì 15 febbraio 2019

un bimbo tra le braccia contagio di tenerezza - articolo per La Difesa

Un bimbo tra le braccia, contagio di tenerezza

Sabato 2 febbraio, al mattino, la Basilica del Santo si è riempita di tanti uomini e donne di ogni età. Convocati dal Vescovo di Padova, mons. Claudio Cipolla. Convocati dall’esigenza di “fare eucaristia”, ossia “rendimento di grazie”, per quel Dio che in momenti diversi della storia li ha chiamati e con-vocati (chiamati insieme!) alla vita religiosa e consacrata, nelle sue innumerevoli forme. Per i più è la “Festa della Candelora”, per i meno la “Festa della presentazione di N.S. Gesù Cristo al Tempio”, per alcuni la “Festa della Vita Consacrata”.

In realtà proprio la celebrazione corale di sabato va a smentire quegli “alcuni”. La presenza premurosa del Vescovo e la Basilica santuario internazionale dicono che la festa non “di alcuni”: forse è “per alcuni” ma da parte di tutta la Chiesa. Quella chiesa che spesso sa riconoscere il segno (pur sempre strano o di contraddizione) che è la vita consacrata: ma almeno una volta l’anno desidera anche lasciargli lo spazio per un “grazie a Dio” insieme.

L’efficacia di questo evento 2019 si poteva trovare nella “santa confusione” evocata a più riprese nella celebrazione. 

Sotto lo sguardo premuroso e partecipato della statua della Vergine Maria con bambino del Donatello, che presiedeva il tutto dall’altare maggiore della Basilica, si sono rievocate immagini di mutuo scambio. La Vergine della splendida statua raffigurata nell’atto di alzarsi per offrire il bimbo a ogni pellegrino presente in Basilica; il Vescovo Claudio che racconta di come desidererebbe presentare i consacrati a Dio nel ringraziamento per ciò che sono e fanno nella Chiesa e nella chiesa di Padova; il medesimo Vescovo che desidera successivamente presentare ai consacrati e alle consacrate la chiesa di Padova. 

giovedì 17 gennaio 2019

il vero ministrante

"Il ministrante (dal latino ministrare, servire) è propriamente un fedele laico (uomo o anche donna, se consentito dal vescovo diocesano) il quale svolge un servizio alla comunità cristiana, ai sacerdoti e ai diaconi durante la liturgia e nelle altre celebrazioni di preghiera". Una definizione tra le tante possibili...

Domenica dopo tanti anni di presbiterato ho conosciuto un autentico ministrante. Mentre celebravo in casa di riposo la Domenica del Battesimo del Signore.

Una celebrazione semplice ma ben curata, con alcuni segni preparati con le suore dell'Istituto: tra questi, il momento dell'atto penitenziale esplicitato con l'aspersione con l'acqua lustrale, in ricordo del battesimo comune.

Passando tra le file di banchi e sedie a rotelle, benedicendo con l'aspersorio - accompagnato dal canto dell'assemblea - noto ai margini della chiesa un distinto signore, capelli e baffi bianchi, sguardo lucido e penetrante: vicino a lui una donna seduta nella sedia a rotelle, sguardo assente e fisso, segni di una infermità seria e invalidante, anche nella sfera comunicativa. Noto che l'uomo non è un semplice volontario: è molto prossimo alla signora, e la cinge in un dolce abbraccio standole seduto accanto.

La liturgia prosegue con i suoi riti e le sue orazioni per lasciare posto alla Parola di Dio. Viene proclamato Isaia:
«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio –. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta...» (Is 40,1)
Dall'alto del semplice presbiterio posso vedere con calma e discrezione quanto accade nell'aula. E il mio sguardo torna su quella coppia, che mi evangelizza senza nulla dire.

Nel silenzio rotto solo dalla voce dei lettori all'ambone, il signore sta vicino alla signora, accarezzandola lievemente e teneramente alla guancia. E la signora, prima con lo sguardo fisso e inespressivo, si scioglie in un chiudere le palpebre, tutta concentrata a nutrirsi di quelle carezze e - forse - delle parole che sta udendo.

«Consolate, consolate il mio popolo - dice il vostro Dio...». In un'etimologia bislacca che mi viene alla mente mentre osservo la scena, penso al "consolare" come da "cum - solum"... stare con chi è solo.

Il gesto di quell'uomo diventa la materializzazione della Parola di Dio. Il gesto che rompe la solitudine portata dalla malattia diventa il gesto più grande di ministerialità liturgica che abbia mai visto in 17 anni di servizio sacerdotale. Nulla di indegno, nulla di scandaloso, nulla di ostentato: dubito che molti altri se ne siano accorti. Eppure nulla di più "vero".

Il gesto proseguirà per tutta la celebrazione della messa, discreto e lieve, con solo qualche piccolo intervallo causato dalla ritualità.

Al termine della celebrazione, tra la piccola confusione che si crea per accompagnare gli ospiti tra i  corridoi alle loro residenze, ho la fortuna di incontrare quell'uomo così servizievole che si prodigava di aiutare anche altri.

Lo avvicino e lo ringrazio per quanto mi ha comunicato e testimoniato. Lui un po' sorpreso e forse imbarazzato perché mi fossi accorto di loro, mi dice solamente: "Come potrei altrimenti... cinquant'anni che ci amiamo...".
«Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!» (san Paolo, Prima lettera ai Corinzi 1,13).




lunedì 14 gennaio 2019

dita al cielo: arrivare al risultato con efficacia e astuzia.

La serata si prospettava piacevole: incontrati tra i vialetti di S.Maria delle Carceri gli scout adulti che mi avevano invitato, sono stato portato subito a tavola per la cena da condividere con loro. Più tardi avrei parlato di spiritualità camaldolese in una notte invernale fredda e limpida  ma in un luogo  davvero suggestivo, tuttavia cominciare con una bella cenetta informale preparata con cura dai cambusieri, beh... rinfrancava lo spirito.

Imparo tante cose del bel Centro di Spiritualità Scout di Carceri "Giulia Spinello", di come viene animato e da chi è frequentato: un progetto davvero indovinato che fa vivere un luogo fantastico.

Imparo (meglio, vivo) però anche una cosa che - per me inattesa - attiva tanti pensieri interessanti, pur essendo una cosa molto marginale o scontata in ambiente scout.

La sala da pranzo, accogliente pur spartana, è piena di commensali entusiasti della giornata trascorsa di lavoro-ricerca. E come commensali scambiano tante idee tra loro. Per capirsi è necessario alzare la voce, inevitabile. Pure io per dialogare devo concentrarmi su quanto mi raccontano i compagni di tavolata, selezionando mentalmente le loro voci dalle altre.

Ad un certo punto vedo vicino a me una delle commensali alzare il braccio con un dito al cielo. In pochi istanti spuntano altre braccia col dito al cielo e le voci si spengono rapidamente, quasi "magicamente" direi. Ottenuto il silenzio, la ragazza può tranquillamente e pacatamente dare l'informazione necessaria sui tempi per concludere la cena e avviare le altre attività.

In altri contesti collettivi a me ben noti avrei assistito a gente che alzava la voce per ottenere  attenzione e ascolto, seguita dopo troppo tempo dallo scroscio di "shhhhh" che per ottenere silenzio provocano rumore (e irritazione). Nei conventi il superiore usa una campanella per destare l'attenzione quando si chiudono le buone chiacchiere fine pasti...

Tornando a notte fonda dall'incontro vissuto con loro, riflettevo ancora sull'insegnamento non banale di quanto imparato da questo "codice" collettivo. Per ottenere il silenzio necessario per la comunicazione corretta non viene usato lo stesso canale sensoriale: non si alza la voce, non si fa rumore. Si passa al canale sensoriale visivo, che attira l'attenzione a partire di chi è prossimo e nella sua evidenza (mano alzata) diventa contagioso amplificando nel silenzio l'effetto desiderato. 

Quando insegno la mano alzata è quella dello studente che chiede la parola per una domanda o una considerazione, mentre il prof sta parlando. Là il contesto è istituzionale e la comunicazione è bi-direzionale come ci viene insegnato nelle prime giornate tra i banchi di scuola della nostra infanzia.

Mi resta questa profonda suggestione: che la via di soluzione di un "problema" possa essere trovata con mezzi non impositivi e aggressivi semplicemente cambiando il sistema di riferimento a partire da un codice riconosciuto dove il bisogno del singolo diventa bisogno "di tutti". Perché se non altro è "per tutti".

Quali applicazioni potrebbe avere tutto questo in processi comunicativi sempre più deteriorati per eccesso di velocità comunicativa o per sproporzioni di forza espressiva? 

Perché da un dito al cielo a un dito per terra lo spazio è davvero piccolo:
«..."Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei". E chinatosi di nuovo, scriveva per terra...» (Gv 8,4-8)




domenica 19 agosto 2018

alla ricerca della bambina nascosta

La lunga e ordinata serie di girelli e ausili alla deambulazione mi accoglie come sempre nel corridoio che introduce alla Chiesa.
Tra questi sbuca inaspettato un passeggino per bebè, con tanto di bambolotto ben disposto in attesa di essere nuovamente abbracciato – presumibilmente – dalla sua piccola proprietaria.

“Oggi a messa ci sarà una bambina” – penso tra me preparandomi per la messa – “sarà una nipotina di qualche ospite della Casa di Riposo…”.

La celebrazione procede serena e partecipata grazie all’animazione attenta e calorosa delle suore. Mi accorgo presto che non siamo né distratti né disturbati da nessuna bimba irrequieta dalle costrizioni della liturgia. “Dormirà…” – penso tra me – “oppure sarà una bimba tranquilla vicino alla sua nonna…”.

Come sempre al momento della Comunione comincio a girare con pazienza tra i banchi e le sedie a rotelle degli ospiti che non riescono a raggiungere l’altare con le loro gambe. Sono tanti, il giro occupa tutte le strofe possibili del canto eucaristico. “Chissà dove è nascosta la bimba” – penso ancora – “ma nel labirinto dei banchi e delle file la troverò…”.

E infatti la trovo.

Una donna, sugli ottanta anni, ben curata, un po’ ingobbita ma con abito vivace, uno sguardo dolce e un po’ trasognato: si alza per ricevere la Comunione. Non tende la mano per ricevere quel Gesù che oggi ci ricordava essere il pane della vita eterna. Non può tendere la mano. Le mani sono occupate. Tengono un bambolotto di pezza. Con cura. Con affetto. Con delicatezza il bambolotto torna nel grembo della donna mentre si siede.

Intuisco qualcosa, ma il mio giro con Gesù eucarestia deve proseguire. Poi termina la messa e “...andiamo in pace!”. Ma la mia pace deve trovare ancora dimora per le domande che affollano la mia testa, non ancora il mio cuore come presto accadrà.

lunedì 4 giugno 2018

quei soffitti alti delle chiese - articolo per San Bonaventura Informa

QUEI SOFFITTI ALTI DELLE CHIESE
IL GIUGNO ANTONIANO PER CONIUGARE FEDE E DEVOZIONE

«Nelle chiese c’è il soffitto alto. È alto perché dentro ci possono stare molte idee». Questa piccola frase folgorante è recentemente scaturita dalla mente di un bimbo/a delle scuole elementari di Padova dopo la visita alla Basilica del Santo (partecipando a un lodevole percorso formativo sui monumenti della città, organizzato dal Comune di Padova). Oltre ad assomigliare ad un piccolo trattato di ecclesiologia, l’affermazione del piccolo visitatore bene si adatta a presentare il senso del “Giugno Antoniano”, arrivato ormai alla sua XII edizione.

Dal 1995 (anno dell’ottavo centenario della nascita di Antonio di Padova da Lisbona) è cresciuto sempre più l’interesse da parte delle autorità civili nel riconoscere alla festa del Santo un carattere  poliedrico, capace di coinvolgere interessi diversi attorno al fenomeno socio-religioso legato a sant’Antonio. Pertanto nel corso degli anni si è maggiormente definito un itinerario di idee che per tutto il mese di giugno coinvolge la città con eventi e proposte che accompagnano il cuore religioso e devozionale che culmina il 13 giugno. La comunità religiosa della Basilica, in accordo con la Delegazione Pontificia, ha incoraggiato questo tipo di esperienza che aiuta efficacemente a far comprendere, in modo molto più ampio, il fenomeno antoniano, togliendo quell’aura devozionale o devozionistica che poteva falsare la reale portata del fenomeno stesso. Ecco allora che la tradizionale proposta devozionale-liturgica si è ampliata con una maggiore diversificazione di pellegrinaggi ufficiali da parte di diocesi (con i loro vescovi) o realtà ecclesiali, in particolare nella cosiddetta “tredicina” dal 31 maggio al 13 giugno, integrata poi da eventi religiosi di altra natura.

sabato 2 giugno 2018

anche i santi riposano

Uno dei tre interventi principali di fav in occasione di
"Notturno in Cammino", Basilica del Santo, sabato 2 giugno 2018

Cosa abbiamo di concreto che ci ricordi sant'Antonio di Padova camminatore e pellegrino?

Non abbiamo i sandali di Antonio (come invece è successo per san Francesco). Né il suo bastone da viaggio. Né la sua bisaccia.
Sì, ci è rimasto un suo cilicio. Oppure la tonaca con la quale venne seppellito... per l'ultimo viaggio! Si trova tutto nella cappella del tesoro in Basilica del Santo.
Poi - certamente - abbiamo i suoi resti mortali. Alcuni noti e prodigiosi (lingua, corde vocali...). Altri normali e comuni: ma chi li ha studiati con competenza medica ci ha detto che Antonio morì un po’ consumato dalla fatica a circa 35 o 36 anni. Il suo viaggiare per decine di migliaia di chilometri e lo zelo missionario sono scritti anche nel suo corpo.
Come il dettaglio dell’ispessimento delle ossa delle ginocchia, spiegato da chi se ne intende per le molte ore di preghiera…

giovedì 15 febbraio 2018

la festa "della lingua" a Padova

Articolo per "San Bonaventura Informa" circa la "Festa della Traslazione di Sant'Antonio di Padova" detta "della Lingua", Festa liturgica per la Basilica del Santo a Padova il 15 febbraio.

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L’8 aprile 1263, Domenica in Albis, in occasione della esumazione del corpo di sant’Antonio, per deporlo in una nuova cassa entro un sepolcro più dignitoso, nella parte ormai terminata della basilica in costruzione, presente il settimo generale dell’Ordine francescano, san Bonaventura da Bagnoregio, mentre il resto del corpo era ridotto in polvere, «la lingua, benché fosse stata sotto terra per trentadue anni, era così fresca, rossa e bella, come se il padre santissimo fosse appena morto». Ce lo fa sapere (ed è la più antica testimonianza), la biografia antoniana Benignitas, d’una decina d’anni appena posteriore all’avvenimento. Meno preciso nel conteggio degli anni di sepoltura, ma con particolari interessantissimi, un panegirico in lode di sant’Antonio, tenuto nella basilica del Santo da un francescano sul finire del secolo, ci informa che «verificarono la cosa non soltanto i frati, ma anche moltissimi laici, specialmente i dodici degni di fede eletti dal Comune di Padova, i quali poi ne resero testimonianza al Papa». Del 1293 circa è la biografia del Santo detta Raimondina. Scrive: «La lingua del santo, ch’era stata tromba di Cristo, strumento dello Spirito Santo e paletto bronzeo del Tabernacolo, fu trovata talmente integra ed aguzza che pareva proprio d’un uomo vivo».

La festa della traslazione ma detta “della Lingua” benedetta del Santo ricorre nel calendario liturgico il 15 febbraio. Per la devozione è concesso alla Basilica di celebrare la festa nella domenica più prossima alla festa. Quest’anno (2018) sarà pertanto il 18 febbraio la domenica nella quale si rinnovano i segni più significativi di questo evento. Come da tradizione il Delegato pontificio presiederà la Santa Messa solenne del mattino: quest’anno sarà la prima esperienza di questa festa per mons. Fabio Dal Cin, che solo da pochi mesi ha iniziato il suo servizio per la Pontificia Basilica del Santo, succedendo a mons. Giovanni Tonucci. Al pomeriggio, invece, è il Ministro provinciale della Provincia Italiana di S.Antonio di Padova dei francescani conventuali fra Giovanni Voltan a presiedere la Messa Solenne, cui segue la processione all’interno della Basilica, alla quale partecipano attivamente decine di rappresentanti dei vari gruppi che regolarmente durante l’anno offrono tanti e diversi servizi per la Basilica e il mondo antoniano. 

Durante la processione viene portata l’insigne reliquia del mento di s. Antonio (visto che preziosità e fragilità della reliquia della lingua non ne permette più gli spostamenti della sua sede presso la Cappella delle Reliquie della Basilica). 

lunedì 9 ottobre 2017

Otto e più per un Santo - articolo per "Lungo la strada"

Articolino pubblicato su "Lungo la strada. Portavoce tra le persone che la strada scout hanno vissuto", settembre 2017, Noventa Padovana. Si ringrazia il sig. Gaetano Franceschini per aver sollecitato l'articolo per la loro rivistina degli Scout Adulti di Padova.

Otto e più per un Santo

Da qualche giorno la città di Padova e la Basilica del Santo hanno vissuto il loro giorno più fulgido nel ricordo “del Santo senza nome”, ma ben noto, frate Antonio DI Padova DA Lisbona.

Senza nome è la moltitudine delle migliaia di pellegrini che hanno visitato la Basilica e poi hanno partecipato alla tradizionale e sentita processione pomeridiana.

Senza nome è anche la presenza numerosa e preziosa di tanti scout che prestano il loro servizio cordiale e preciso nel perimetro santuariale per tutta la giornata, garantendo un valido aiuto per il servizio d’ordine e aiutando i pellegrini in tante piccole necessità.


domenica 25 giugno 2017

Plurale singolare

Una piccola riflessione che mi è stata chiesta per il volumetto preparato in occasione della chiusura della presenza dei fati minori conventuali nella Parrocchia Sacro Cuore di Mestre: «...e vi doni la Sua pace». I frati salutano la parrocchia del Sacro Cuore, pro-manuscripto, Mestre 2017, pp. 25-26.


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Plurale singolare

Sembra un ossimoro, ma dopo tanti anni mi piace sintetizzare così l’esperienza di vita e di fede vissuta a Mestre nella Parrocchia del Sacro Cuore e nel suo convento francescano.

È “singolare” il fatto che la mia percezione di Chiesa e di fede per moltissimi anni (diciamo fino a 21 anni) sia rimasta confinata in una forma che davo per scontata e unica, ossia quella di una Parrocchia retta da una comunità religiosa francescana. Era la mia esperienza: e un’esperienza tanto coinvolgente che non mi provocava nemmeno ad uno sguardo all’infuori. Sguardo che probabilmente mi avrebbe fatto capire prima che – in genere – una comunità parrocchiale non è normalmente affidata ad una comunità religiosa. Oggi a 48 anni (di cui già 25 vissuti in convento) posso dire serenamente che una parrocchia affidata a religiosi non è né meglio né peggio di una parrocchia animata dal clero secolare: ciò che fa la differenza è – nell’uno e nell’altro caso – quanto spazio sia dato allo Spirito santo… per essere il vero animatore della comunità.

venerdì 31 marzo 2017

Pasqua di pace - articolo per "Lungo la strada"

Articolino pubblicato su "Lungo la strada. Portavoce tra le persone che la strada scout hanno vissuto", marzo 2017, Noventa Padovana. Si ringrazia il sig. Gaetano Franceschini per aver sollecitato l'articolo per la loro rivistina degli Scout Adulti di Padova.

Pasqua! Il Risorto irrompe nelle ore concitate del “giorno dopo il sabato”. Mentre i discepoli di Emmaus sono ancora intenti a testimoniare agli apostoli – nascosti ed impauriti – la loro esperienza pasquale, ed il fatto che hanno riconosciuto Cristo “nello spezzare del pane”… ecco Gesù che “stette in mezzo a loro”: l’Emmanuele/Dio-con-noi è anche il Risorto/Dio-tra-noi. Il saluto è inequivocabile: “Pace a voi!” (Lc 24,26). Sono le prime parole rivolte agli amici ritrovati dopo le drammatiche ore della passione. Dopo i loro tradimenti, dopo i loro abbandoni… non parole di rimprovero o giudizio o condanna, ma : “Pace a voi!”.

Non è solo un saluto, ma un presentarsi con chiara identità: la pace non solo come ideale, ma una pace che è una persona. Lo chiarirà molto bene qualche anno più tardi san Paolo che – scrivendo agli Efesini – dice: «Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne» (2,13-14).

E nella consegna del dono della pace, del suo “essere-pace”, l’invito a verificare che è proprio lui, non un altro: i segni della passione sono ancora impressi! Perché non è un Signore nuovo, diverso. Ma è davvero Gesù di Nazareth, il Signore, il crocifisso che è risorto!

Al termine della sue esistenza terrena, san Francesco, con i segni del crocifisso “scritti” sul suo corpo nell’esperienza de La Verna (le stimmate), amerà ricordare nel Testamento – tra le tante cose – che questo saluto pasquale aveva caratterizzato tutta la sua esistenza dopo la conversione: «Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: “Il Signore ti dia la pace!”» (Testamento, FF 121). Un insegnamento tratto certamente dal vangelo, probabilmente sempre Luca (10,5: «In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa»), ma che altrettanto si ricollega al saluto pasquale del Risorto.

Nel "Patto associativo AGESCI" del nuovo millennio (anno 2000), leggiamo: «Operiamo per la pace, che è rispetto della vita e della dignità di ogni persona; fiducia nel
bene che abita in ciascuno; volontà di vedere l'altro come fratello; impegno per la giustizia. [...] Ci impegniamo a spenderci particolarmente là dove esistono situazioni di marginalità e sfruttamento, che non rispettano la dignità della persona, e a promuovere una cultura della legalità e del rispetto delle regole della democrazia. Ci impegniamo a formare cittadini del mondo ed operatori di pace, in spirito di evangelica nonviolenza, affinché il dialogo ed il confronto con ciò che è diverso da noi diventi forza promotrice di fratellanza universale».

Non solo parlare “di” pace. Non solo augurare “la” pace. Ma essere testimoni di “Chi” è pace.

Come diceva don Primo Mazzolari: «Il cristiano è un uomo DI pace, non un uomo IN pace: fare LA pace è la sua vocazione» (Tu non uccidere, 1955).

giovedì 22 dicembre 2016

è chiusa dagli uomini la Misericordia di Dio? - articolo per "Lungo la strada"

Articolino pubblicato su "Lungo la strada. Portavoce tra le persone che la strada scout hanno vissuto", dicembre 2016, Noventa Padovana. Si ringrazia il sig. Gaetano Franceschini per aver sollecitato l'articolo per la loro rivistina degli Scout Adulti di Padova.

Quando leggete queste righe l’anno giubilare della misericordia sarà già concluso con il rito solenne del 20 novembre. Una domenica prima – domenica 13 novembre – le Porte Sante di tutte le diocesi del mondo sono state chiuse confermando la straordinarietà di questo “giubileo diffuso” voluto con tanta determinazione da papa Francesco.

Ciò che inizia ha da finire perché abbia senso compiuto: anche le olimpiadi si aprono e si chiudono con una ritualità tutta particolare e spettacolare. Lo spazio tra un olimpiade e l’altra è il tempo prezioso per far tesoro delle prestazioni conseguite nelle competizioni e prepararsi a quelle future.

Un tempo prezioso come quello dell’anno giubilare della Misericordia ha previsto aperture solenni di porte, e altrettanti chiusure. Nella loro simbolicità, lascia un po’ sconcertati la chiusura di un simbolo di Misericordia: è chiusa dagli uomini la Misericordia di Dio?

In realtà il significato è altro: “Ora che sai che le porte si possono/devono aprire per incontrare la misericordia di Dio, ora che hai fatto esperienza di questa misericordia, continua tu…!”.

«Se la porta di San Pietro è santa e misericordiosa, e lo sono anche molte altre porte di molte altre chiese sia dell’Alto milanese, della Barbagia, della valle Tiberina, delle Langhe,  del Tavoliere delle Puglie e del parco del Pollino, non è che Francesco, sotto sotto, ci sta dicendo, che per ogni cristiano ogni porta è santa? Compresa la porta che dal tinello conduce in cucina, dove la moglie sta preparando le lasagne? O che dal corridoio porta nella camera di nostro figlio? O che dal portone ci introduce nell’appartamento del nostro amico, o la porta a vetri che ci fa entrare in ufficio, o tutte le porte che ci conducono sui posti di lavoro, di divertimento, di perdizione? Perché aperta una porta c’è sempre qualcuno ad aspettarci. La porta più difficile da varcare è quella che apriamo ogni mattina, quella della camera da letto, la prima apertura verso il mondo, verso gli altri. Francesco, che oltre che intendersi di un sacco di cose tra cui la teologia, la preghiera e la liturgia, è anche un esperto di serramenti, sa che le porte sono fondamentali nella vita di ogni cristiano, e come un buon falegname ci spinge leggermente, sussurrandoci che le porte devono essere aperte e varcate» (G.PORETTI, “La misericordia passa dal tinello di casa”, in «Avvenire», 15/10/2016).


fr. Andrea Vaona ofmconv

sabato 5 novembre 2016

sogno di Francesco o incubo di frate Elia? - articolo per La Difesa del Popolo

E’ sempre sorprendente – per noi frati francescani – notare l’interesse di non-addetti-ai-lavori per la figura di Francesco d’Assisi. Oltre alla devozione di chi nel proprio cammino di fede lo osserva come maestro e protettore, c’è poi un indistinto mondo di persone che da sempre resta affascinato dall’assisiate, lo studia, lo approfondisce a vari livelli… e poi desidera “dire la sua” con tanti mezzi espressivi diversi: arti figurative, letterarie, cinematografiche, teatrali… Ogni anno sono decine e decine le produzioni mondiali sui vari “media” che appaiono in materia.

La sorpresa di cui sopra fa molto bene al nostro mondo francescano: in primis ci ricorda che non siamo gli unici e gelosi custodi dell’esperienza di san Francesco; poi afferma che la sua esperienza storica continua a parlare e provocare (forse persino di più delle attuali realizzazioni storiche francescane); suggerisce infine che Francesco è un santo più vivo che mai. E tutto questo è davvero meraviglioso. La santa inquietudine che otto secoli fa abitò il cuore di un uomo - perfettamente medievale ma al contempo fuori da ogni tempo perché dialogante a tu per tu con il Signore del Tempo e della Storia, il Signore della vita – è talmente autentica che difficilmente non se ne può rimanere affascinati.

venerdì 1 luglio 2016

gettare ponti sulle paure - articolo di fav per La Difesa del Popolo


Gettare ponti sulle paure

L’interesse suscitato in questi giorni dalla particolare performance dell’artista bulgaro Christo Vladimirov Yavachev sul Lago d’Iseo si è prestato a tante considerazioni, più o meno autorevoli. Una passerella galleggiante di 4,5 chilometri (duecentomila metri cubi di polietilene e tessuto giallo) intitolata “The floating piers” collega da qualche giorno la riva del lago (a Sulzano) con le isole naturali di Montisola e San Paolo. Oltre che creare un particolare effetto cromatico cangiante, la passerella a pelo d’acqua è percorribile a piedi. Più che “camminare sulle acque” (specialità sin qui nota ad un altro Cristo…) qui si può “camminare nell’acqua” da una prospettiva quanto mai insolita, in uno scenario naturale edificante.

sabato 19 marzo 2016

Dio si carica sulle spalle l'uomo - articolo per "Lungo la strada"

L’evento del giubileo – voluto fermamente da papa Francesco e annunciato non molti mesi fa – ci coglie in un’epoca piena di incertezze e fatiche sul presente e sull’inquietante futuro. Qualcuno parlava perfino di sospenderlo, per motivi di sicurezza: la risposta è stata invece riaffermare – oggi più che mai – la celebrazione dell’evento che è centrato sulla riflessione circa il tema della misericordia: del resto il Giubileo non si vive solo a Roma, ma in ogni luogo dove una comunità cristiana apre con il suo pastore la ‘porta santa’, simbolo da “attraversare” per percepire anche sensorialmente che desideriamo “fare un passaggio” esistenziale. Si incontra la misericordia di Dio per poterla poi ridonare agli uomini; si fa esperienza di misericordia con gli uomini per testimoniare la presenza di Dio.

venerdì 4 marzo 2016

raccogli le briciole e fanne un pane - articolo per #bibbiafrancescana

Il brano evangelico proposto dalla liturgia di ieri (giovedì seconda settimana di quaresima) si conclude con un’affermazione lapidaria di Gesù: «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde» (Lc 11,23).

Un appello forte a prendere posizione, tra lui – Gesù, che “raccoglie” nell’amore del Padre – e satana – ossia il diavolo, etimologicamente parlando “il separatore, il divisore”, colui che allontana dall’amore del Padre.

E’ bello però l’accento posto sulla dinamica del “raccogliere CON me”: non si tratta di raccogliere PER lui (sarebbe azione servile “conto terzi”), ma bensì di raccogliere CON lui, scoprire Gesù raccoglitore, servo tra i servi dediti al raccolto, compagno di lavoro e di fatica…

In questa prospettiva la mia fatica pastorale, missionaria, testimoniale, non è solo fatica mia, o della mia comunità, o della chiesa: è una fatica condivisa da Gesù, vissuta da Gesù, in Gesù… compagno di raccolto!

Nelle biografie sanfrancescane si racconta di un episodio famoso.

mercoledì 2 marzo 2016

pochi chilometri o centinaia di metri - articolo per LaDifesa

Il viaggio di Alvin Straight: la gioia della riconciliazione.

In questo giubileo della misericordia non mancano iniziative divulgative per avvicinare il tema in modo creativo.
Un noto network cattolico (aleteia.org) ha consigliato un’interessante lista di film sul tema giubilare: dal capolavoro Il monello di Chaplin (Usa, 1921) a tanti altri titoli più o meno recenti, più o meno noti (tra quest’ultimi l’altro piccolo capolavoro Segreti e bugie di Mike Leight, Regno Unito 1996).

Sorprende l’assenza di un titolo davvero importante, diremmo fondamentale sul tema: The Straight Story di David Lynch (Usa Canada, 1999), noto in Italia col titolo "Una storia vera".
Il titolo originale, contiene un gioco di parole, poiché vuol dire sia “La storia di Straight” (cognome del protagonista del film), ma anche “La storia dritta”, che indica la linearità del viaggio effettuato dal protagonista Alvin Straight per raggiungere il fratello e, metaforicamente, la linearità della vita.
Un classico “road movie” che narra con linguaggio cinematografico e poetico la storia realmente accaduta nel 1994 tra Iowa e Wisconsin: un vecchio contadino compì 386 chilometri in sei settimane di viaggio a bordo di un tagliaerba viaggiando a 8 chilometri all’ora!

Perché un viaggio così assurdo?

lunedì 15 febbraio 2016

sberleffi illustri - articolo per #bibbiafrancescana

In questi giorni la notizia della rilevazione scientifica delle “onde gravitazionali” ha destato l’attenzione dell’opinione pubblica, anche la meno allenata a questioni così complesse.

Al di là dell’oggettiva straordinarietà della scoperta, molto si è insistito – e non a caso – sul fatto che questa registrazione delle onde gravitazionali attraverso strumenti enormi e sofisticati abbia di fatto dato certezza a quanto fosse stato teorizzato da Albert Einstein quasi un secolo fa. La conferma “empirica” di una “visione” che il fisico e matematico aveva saputo prevedere e descrivere con il solo strumento dell’intelligenza, della logica, con caratteri matematici… su lavagne e fogli di carta! Non si può non parlare di uno sguardo “mistico” sulla realtà, un vedere “oltre” ciò che i cinque sensi possono offrire e garantire.

Gli articoli – numerosissimi – che hanno presentato la notizia spesso sono stati corredati dalla celeberrima foto “pop” che ritrae l’irriverente sberleffo di Einstein davanti l’obiettivo della macchina fotografica di Arthur Sasse nel 1951. Un accostamento forse ardito, quasi a evocare un “ve lo avevo detto, io!” rivolto a quanti fossero rimasti perplessi al cospetto della teoria e della sua “visione”.

sabato 13 febbraio 2016

cenere parlante - articolo per #bibbiafrancescana

«Tradizione è conservare il fuoco, non adorare le ceneri»: non è un detto biblico, ma una profonda e salace riflessione attribuita al musicista Gustav Mahler. Indica chiaramente la priorità al progetto di custodire un fuoco, alimentandolo con pazienza e premura, perché ciò che è stato consegnato della storia (tradizione, da tradere – consegnare) e da chi ci ha preceduto non sia necessariamente conservato nella sua forma originale, ma possa continuare a produrre fuoco buono che scalda e da luce, per noi e per chi verrà…

Dunque le ceneri non vanno adorate. Ma nemmeno ignorate o svalutate. Sono sempre testimonianza di una passione che ha tenuto acceso un fuoco finché ha potuto, finché si è consumata dopo aver ”acceso” altra legna che prosegue la medesima passione per il fuoco.

sabato 3 ottobre 2015

Francesco, che mani grandi che hai! - articolo per #bibbiafrancescana

Tanti (tanti!) anni fa, non ero ancora frate francescano, visitando per la prima volta Assisi rimasi ‘abbagliato’ dalla bellezza degli affreschi di Giotto della Basilica superiore.

Invece quelli della Basilica inferiore non riuscivano a catturare la mia simpatia. In particolare trovavo il ritratto di san Francesco fatto da Cimabue davvero goffo e sgraziato. Con quelle ‘orecchie a sventola’ poi! Eh sì che qualcuno mi fece notare con acume e simpatia che – a ben vedere – nel volto si poteva ben evidenziare un bel Tau, tra la fronte e il naso. Una bella curiosità, evocativa… che però non riusciva a farmi cambiare l’impressione e l’emozione generale iniziale.