«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». (Lc 18,9-14)
Domenica XXX del Tempo ordinario – anno C – Subito dopo la parabola del giudice e della vedova, proposta domenica scorsa (cf. Lc 18,1-8), Luca narra la parabola del fariseo e del pubblicano, offerta per questa domenica. Essa presenta due modelli di orazione: uno presuntuoso e scorretto, l’altro umile e valido. Anche in questo caso, il narratore spiega in anticipo il senso del racconto e manifesta il motivo per cui Gesù ha esposto la parabola: «per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri» (v. 9).
Il racconto ha di mira la categoria dei «farisei», cioè quelle persone molto religiose che, nella tradizione ebraica, emergevano per impegno morale e devozione. Nel racconto evangelico non troviamo una vera e propria parabola, perché non c’è una storia in atto. Si tratta piuttosto di due quadretti contrapposti, con un giudizio finale attraverso il quale Gesù fa comprendere chiaramente qual è la sua posizione e, quindi, dove sta il bene e il male.
Entrambi i personaggi «salgono al tempio a pregare» (v. 10), perché entrambi sono religiosi, ma hanno vite diverse e mentalità diverse. Il primo personaggio è una persona onesta e devota, retta nell’agire e formata nell’orazione (vv. 11-12); il secondo, invece, è un collaborazionista dei romani, quindi un traditore della patria è certamente un corrotto (v. 13). Dopo i due ritratti, ridotti all’essenziale, Gesù esprime chiaramente un giudizio e lo formula con un linguaggio «paolino», adoperando il concetto di giustificazione: «Questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro» (v. 14). Come insegna san Paolo, la giustificazione non avviene in forza delle opere e dei meriti umani, ma in virtù della fede: in tal modo la situazione si capovolge e, contro ogni apparenza devota, torna a casa «giusto» il peccatore!