Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa “Luogo del cranio”, e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: “Il re dei Giudei”. Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.
Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: “Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!”. Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: “Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!”. E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: ” Eloì, Eloì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: “Ecco, chiama Elia!”. Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere , dicendo: “Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere”. Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”. (Mc 15,22-39)
Domenica delle Palme e della Passione, anno C – E’ l’evangelista Marco a insistere sulla figura solenne e tragica del Centurione romano ai piedi della croce. Nella Chiesa primitiva e nei secoli successivi la sua figura ha assunto un ruolo molto importante perché – anche nelle sacre rappresentazioni della passione – figura in tutti i momenti della morte di Gesù: quando si tratta di dargli da bere l’aceto, di verificarne la morte e di assicurarsi della sua sepoltura.
Tuttavia nell’abile tessitura narrativa e teologica del breve Vangelo secondo Marco il Centurione assume un significato ben maggiore della sola narrazione testimoniale. Infatti se nel primo versetto del Vangelo possiamo leggere: “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio”, queste parole troveranno conferma proprio alla fine della narrazione quando il Centurione – sotto e di fronte alla croce, ovvero in una posizione di contrapposizione ad essa – dirà: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”. Nessuno prima di quel momento nella narrazione marciana ha detto quanto invece dice solennemente il Centurione.
Da “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” a “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”: sono gli estremi del percorso che Marco propone come lento svelamento e iniziazione ad una verità che non si può comprendere prima che il racconto si sia concluso. E tale rivelazione viene dalle labbra di un pagano! Che con la sua professione di fede anticipa persino la Pasqua, che per gli altri resterà carica di mistero anche il terzo giorno.
La fede – dunque – non consiste tanto nel verificare o nel vedere ciò che ci si aspetta di vedere, quanto piuttosto nell’anticipare qualcosa che sembra impossibile. E questa – ci suggerisce Marco – è la condizione di ogni uomo.
Nella narrazione marciana alla professione del Centurione segue il silenzio. Nemmeno le donne al sepolcro tre giorni dopo diranno nulla, sgomente della tomba vuota e dell’annuncio dell’angelo. I vv. 9-20 che leggiamo al capitolo 16 secondo tutti gli studiosi non sono della penna di Marco ma aggiunti posteriormente per accordare la strana chiusa marciana con gli altri vangeli.
La figura del Centurione è quella che allora con le sue parole chiude idealmente la narrazione. E la cesura di Marco sembra proprio voler dire: tu, lettore, non correre al momento della resurrezione, devi fare come il Centurione. La resurrezione non è la smentita della morte, ma la definitiva verità presente già nella morte stessa. (don Giovanni Trabucco)
Nessuno mai potrà essere più definito come il Centurione definì Gesù di Nazaret appeso esanime sulla croce.
Forse non è un caso che il Centurione sia ben presente nell’icona del Crocifisso si San Damiano, tanto importante nella vicenda personale di Francesco d’Assisi. Ed è bello notare che nel linguaggio iconografico la voce solitaria del Centurione è illustrata dal fatto che lui solo (e il soldato Longino) guarda al Crocifisso, mentre tutti gli altri sgomenti si guardano tra di loro.
Di sicuro nella tradizione francescana non mancano accenni colmi di stupore per quanto Francesco d’Assisi con la sua vita rendesse presente Cristo sulla terra.
Il non facile trattato di Angelo Clareno (Libro delle Tribolazioni) da’ una rilettura fortemente nostalgica e analogica di quanto Francesco fu tra gli uomini, ossia testimone di Dio:
Il cuore del cardinale cambiò, per la forza e l’efficacia delle parole di lui [Francesco], riconoscendo che era verissimo quanto diceva. Radunati i frati che lo avevano indotto a presentare quelle proposte a san Francesco, disse loro: «Frati, ascoltatemi e badate a voi stessi, per non ingannarvi e mostrarvi ingrati al dono di Dio; Dio è davvero in quest’uomo, e Cristo e il suo Spirito parlano in lui; chi ascolta lui, non ascolta un uomo, ma Dio; chi disprezza lui, non disprezza un uomo, ma Dio. Umiliate i vostri cuori e obbeditegli, se volete piacere a Dio e fare quello che piace a Cristo. Se gli resistete, pensando e facendo cose contrarie ai suoi comandi e consigli, vi priverete del frutto della salvezza e della vostra vocazione, svilirete lo stato della vostra Religione e offuscherete il cuore, mostrandolo avviluppato in molti difetti e tenebre. Dalla sua bocca esce la parola viva di Dio, più penetrante di una spada a doppio taglio, come dice l’Apostolo. Non ignora le astuzie di satana, ma penetra fino al segreto delle intenzioni e dei pensieri satanici degli uomini; non può essere ingannato da umani raggiri, perché ha in sé lo spirito di Dio, che scruta le reni e i cuori, e anche le profondità di Dio» (FF 2162).
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