In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. [...] Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». [...] Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». [...] Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». [...] Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. (Gv 11,1-45)
«Perché Gesù ha resuscitato Lazzaro? Lazzaro morirà due volte. Perché farlo morire ancora? “Perché credano che tu mi hai mandato”; per rendere credibile la forza di Gesù… [...] Non possiamo essere passivi di fronte alla morte. Dobbiamo sapere perché viviamo e per chi. Ma è vero? Sappiamo perché dobbiamo morire? Continuiamo ad illuderci che la vita è nostra. Ma prima la vita non era nostra; e dopo non sarà nostra. Perché dovrebbe esserlo durante? Siamo sciocchi a pensare che la vita sia per noi e non per gli altri. Perché non dedicare la nostra vita agli altri? Affinché gli altri credano in Cristo» (mons. Valentino Vecchi).
V Domenica del tempo di Quaresima, anno A – In trionfale crescendo, l’ultimo «segno» compiuto dal maestro prima della passione è la risurrezione di Lazzaro, alle porte di Gerusalemme: segno che la morte che aspetta Gesù (sarà proprio questo evento ad affrettarla) non è, come sembra, una sconfitta ma una vittoria, e la croce non è un’infamia ma un trono di gloria, perché la morte è vinta dalla vita. Non solo il peccato è sconfitto, ma la morte stessa non potrà più riportare i suoi trofei, perché con la risurrezione di Gesù la vita è risorta nel cuore dell’umanità.
Il quadro è molto concreto: veri affetti (cf. vv. 1-5.28-36), una morte vera, un viaggio verso morte certa (cf. vv. 11-16). Ma anche questo manifesterà la gloria di Dio (cf. v. 4).
Finché dura il tempo stabilito, le tenebre non oscureranno la luce: verrà la loro ora, e Tommaso, pronto a sfidare la morte, ma disposto a credere solo ai fatti, potrà toccare con mano la divinità di Gesù (cf. Gv 20,24-29). Di spirito concreto anche Marta, legata al suo dinamismo, a una fede pratica (cf. vv. 17-24.39). Ma la parola di Gesù spezza ogni schema: chi può dirsi «risurrezione e vita?» (cf. vv. 25-26). La fede di Marta si basa non sulla spiegazione razionale ma sull’abbandono alla persona di Cristo. Il dolore di Gesù non resta inerte di fronte alla potenza della morte, al suo passo irreversibile (cf. vv. 37-40; si credeva che nel «quarto giorno» l’anima abbandonasse definitivamente la tomba): egli è la «vita» che si manifesta agli uomini, con l’autorità del Figlio di Dio (cf. vv. 41-45).
Francesco cita implicitamente la professione di fede di Marta nella Lettera a tutto l’Ordine, nel celebre passaggio relativo alla presenza reale di Cristo nell’eucaristia:
«Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, è presente Cristo, il Figlio del Dio vivo. O ammirabile altezza e stupenda degnazione! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, si umili a tal punto da nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di pane!» (FF 221).link: http://bibbiafrancescana.org/2017/03/illuderci-che-la-vita-e-nostra/
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