giovedì 17 gennaio 2019

il vero ministrante

"Il ministrante (dal latino ministrare, servire) è propriamente un fedele laico (uomo o anche donna, se consentito dal vescovo diocesano) il quale svolge un servizio alla comunità cristiana, ai sacerdoti e ai diaconi durante la liturgia e nelle altre celebrazioni di preghiera". Una definizione tra le tante possibili...

Domenica dopo tanti anni di presbiterato ho conosciuto un autentico ministrante. Mentre celebravo in casa di riposo la Domenica del Battesimo del Signore.

Una celebrazione semplice ma ben curata, con alcuni segni preparati con le suore dell'Istituto: tra questi, il momento dell'atto penitenziale esplicitato con l'aspersione con l'acqua lustrale, in ricordo del battesimo comune.

Passando tra le file di banchi e sedie a rotelle, benedicendo con l'aspersorio - accompagnato dal canto dell'assemblea - noto ai margini della chiesa un distinto signore, capelli e baffi bianchi, sguardo lucido e penetrante: vicino a lui una donna seduta nella sedia a rotelle, sguardo assente e fisso, segni di una infermità seria e invalidante, anche nella sfera comunicativa. Noto che l'uomo non è un semplice volontario: è molto prossimo alla signora, e la cinge in un dolce abbraccio standole seduto accanto.

La liturgia prosegue con i suoi riti e le sue orazioni per lasciare posto alla Parola di Dio. Viene proclamato Isaia:
«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio –. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta...» (Is 40,1)
Dall'alto del semplice presbiterio posso vedere con calma e discrezione quanto accade nell'aula. E il mio sguardo torna su quella coppia, che mi evangelizza senza nulla dire.

Nel silenzio rotto solo dalla voce dei lettori all'ambone, il signore sta vicino alla signora, accarezzandola lievemente e teneramente alla guancia. E la signora, prima con lo sguardo fisso e inespressivo, si scioglie in un chiudere le palpebre, tutta concentrata a nutrirsi di quelle carezze e - forse - delle parole che sta udendo.

«Consolate, consolate il mio popolo - dice il vostro Dio...». In un'etimologia bislacca che mi viene alla mente mentre osservo la scena, penso al "consolare" come da "cum - solum"... stare con chi è solo.

Il gesto di quell'uomo diventa la materializzazione della Parola di Dio. Il gesto che rompe la solitudine portata dalla malattia diventa il gesto più grande di ministerialità liturgica che abbia mai visto in 17 anni di servizio sacerdotale. Nulla di indegno, nulla di scandaloso, nulla di ostentato: dubito che molti altri se ne siano accorti. Eppure nulla di più "vero".

Il gesto proseguirà per tutta la celebrazione della messa, discreto e lieve, con solo qualche piccolo intervallo causato dalla ritualità.

Al termine della celebrazione, tra la piccola confusione che si crea per accompagnare gli ospiti tra i  corridoi alle loro residenze, ho la fortuna di incontrare quell'uomo così servizievole che si prodigava di aiutare anche altri.

Lo avvicino e lo ringrazio per quanto mi ha comunicato e testimoniato. Lui un po' sorpreso e forse imbarazzato perché mi fossi accorto di loro, mi dice solamente: "Come potrei altrimenti... cinquant'anni che ci amiamo...".
«Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!» (san Paolo, Prima lettera ai Corinzi 1,13).




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