lunedì 14 gennaio 2019

dita al cielo: arrivare al risultato con efficacia e astuzia.

La serata si prospettava piacevole: incontrati tra i vialetti di S.Maria delle Carceri gli scout adulti che mi avevano invitato, sono stato portato subito a tavola per la cena da condividere con loro. Più tardi avrei parlato di spiritualità camaldolese in una notte invernale fredda e limpida  ma in un luogo  davvero suggestivo, tuttavia cominciare con una bella cenetta informale preparata con cura dai cambusieri, beh... rinfrancava lo spirito.

Imparo tante cose del bel Centro di Spiritualità Scout di Carceri "Giulia Spinello", di come viene animato e da chi è frequentato: un progetto davvero indovinato che fa vivere un luogo fantastico.

Imparo (meglio, vivo) però anche una cosa che - per me inattesa - attiva tanti pensieri interessanti, pur essendo una cosa molto marginale o scontata in ambiente scout.

La sala da pranzo, accogliente pur spartana, è piena di commensali entusiasti della giornata trascorsa di lavoro-ricerca. E come commensali scambiano tante idee tra loro. Per capirsi è necessario alzare la voce, inevitabile. Pure io per dialogare devo concentrarmi su quanto mi raccontano i compagni di tavolata, selezionando mentalmente le loro voci dalle altre.

Ad un certo punto vedo vicino a me una delle commensali alzare il braccio con un dito al cielo. In pochi istanti spuntano altre braccia col dito al cielo e le voci si spengono rapidamente, quasi "magicamente" direi. Ottenuto il silenzio, la ragazza può tranquillamente e pacatamente dare l'informazione necessaria sui tempi per concludere la cena e avviare le altre attività.

In altri contesti collettivi a me ben noti avrei assistito a gente che alzava la voce per ottenere  attenzione e ascolto, seguita dopo troppo tempo dallo scroscio di "shhhhh" che per ottenere silenzio provocano rumore (e irritazione). Nei conventi il superiore usa una campanella per destare l'attenzione quando si chiudono le buone chiacchiere fine pasti...

Tornando a notte fonda dall'incontro vissuto con loro, riflettevo ancora sull'insegnamento non banale di quanto imparato da questo "codice" collettivo. Per ottenere il silenzio necessario per la comunicazione corretta non viene usato lo stesso canale sensoriale: non si alza la voce, non si fa rumore. Si passa al canale sensoriale visivo, che attira l'attenzione a partire di chi è prossimo e nella sua evidenza (mano alzata) diventa contagioso amplificando nel silenzio l'effetto desiderato. 

Quando insegno la mano alzata è quella dello studente che chiede la parola per una domanda o una considerazione, mentre il prof sta parlando. Là il contesto è istituzionale e la comunicazione è bi-direzionale come ci viene insegnato nelle prime giornate tra i banchi di scuola della nostra infanzia.

Mi resta questa profonda suggestione: che la via di soluzione di un "problema" possa essere trovata con mezzi non impositivi e aggressivi semplicemente cambiando il sistema di riferimento a partire da un codice riconosciuto dove il bisogno del singolo diventa bisogno "di tutti". Perché se non altro è "per tutti".

Quali applicazioni potrebbe avere tutto questo in processi comunicativi sempre più deteriorati per eccesso di velocità comunicativa o per sproporzioni di forza espressiva? 

Perché da un dito al cielo a un dito per terra lo spazio è davvero piccolo:
«..."Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei". E chinatosi di nuovo, scriveva per terra...» (Gv 8,4-8)




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