domenica 27 ottobre 2019

distanze - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». (Lc 18,9-14)

Domenica XXX del Tempo ordinario – anno C – Subito dopo la parabola del giudice e della vedova, proposta domenica scorsa (cf. Lc 18,1-8), Luca narra la parabola del fariseo e del pubblicano, offerta per questa domenica. Essa presenta due modelli di orazione: uno presuntuoso e scorretto, l’altro umile e valido. Anche in questo caso, il narratore spiega in anticipo il senso del racconto e manifesta il motivo per cui Gesù ha esposto la parabola: «per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri» (v. 9).

Il racconto ha di mira la categoria dei «farisei», cioè quelle persone molto religiose che, nella tradizione ebraica, emergevano per impegno morale e devozione. Nel racconto evangelico non troviamo una vera e propria parabola, perché non c’è una storia in atto. Si tratta piuttosto di due quadretti contrapposti, con un giudizio finale attraverso il quale Gesù fa comprendere chiaramente qual è la sua posizione e, quindi, dove sta il bene e il male.

Entrambi i personaggi «salgono al tempio a pregare» (v. 10), perché entrambi sono religiosi, ma hanno vite diverse e mentalità diverse. Il primo personaggio è una persona onesta e devota, retta nell’agire e formata nell’orazione (vv. 11-12); il secondo, invece, è un collaborazionista dei romani, quindi un traditore della patria è certamente un corrotto (v. 13). Dopo i due ritratti, ridotti all’essenziale, Gesù esprime chiaramente un giudizio e lo formula con un linguaggio «paolino», adoperando il concetto di giustificazione: «Questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro» (v. 14). Come insegna san Paolo, la giustificazione non avviene in forza delle opere e dei meriti umani, ma in virtù della fede: in tal modo la situazione si capovolge e, contro ogni apparenza devota, torna a casa «giusto» il peccatore!

domenica 20 ottobre 2019

Sicuramente! Ma dove? - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». (Lc 18,1-8)

Domenica XXIX del Tempo Ordinario – anno C – Durante il viaggio verso Gerusalemme Gesù forma i suoi discepoli e, in tale contesto, Luca propone una parabola sulla preghiera (vv. 2-4). Il narratore introduce il racconto spiegando il messaggio e anticipandone l’insegnamento: la vicenda emblematica narrata richiama la necessità di «pregare sempre, senza stancarsi» (v. 1). Protagonista della preghiera è una donna debole, senza appoggi virili, abbandonata dalla società e vittima di prepotenti oppressori.

La trama dell’episodio si avvicina a quella della parabola dei due amici (cf. Lc 11,5-8). Luca, infatti, ama raddoppiare le immagini e affiancare vicende simili con protagonisti ora un uomo, ora una donna: è un suo modo per sottolineare e rivalutare il ruolo delle donne nell’esperienza della vita cristiana. Eppure, rispetto alla vicenda dell’amico che va a chiedere il pane in piena notte, c’è qui una profonda differenza: l’altro, a cui si rivolge la preghiera, non è un amico, ma uno estraneo e perverso (v. 2). Ci è facile capire il paragone di Dio con un amico, mentre ci riesce difficile comprendere il paragone con un «giudice» disonesto. È logico che quella vedova si rivolga al giudice per avere giustizia (v. 3): sarebbe suo compito istituzionale garantire l’applicazione del diritto e venire in soccorso a una persona debole e indifesa. Potremmo capire che Dio venga paragonato a un giudice, ma è strano che il racconto sottolinei con forza e insistenza la disonestà del personaggio parabolico. Egli non vuole ascoltare il diritto di quella donna e non gli interessa fare il proprio dovere (v. 4): non è mosso da un tornaconto umano, né da una morale religiosa («Non teme Dio»!) né da una morale laica («Non ha rispetto di nessuno»!) Si decide a fare ciò che la vedova chiede solo perché è stanco di essere «importunato» (cf. v. 5).

domenica 13 ottobre 2019

chi va, chi torna - post per #bibbiafrancescana

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». (Lc 17.11-19)

Domenica XXVIII del Tempo Oridnario – anno C – Prosegue la narrazione del cap. 17 di Luca avviata domenica scorsa. L’inizio dell’episodio richiama il tema del «viaggio» (cf. v. 11), tanto caro a Luca, per evidenziare un intervento formativo di Gesù nei confronti nella sua comunità in cammino. Il breve racconto di miracolo è tipico del terzo evangelista. Due particolari emergono come importanti: il contrasto fra «dieci» e «uno» (vv. 12.15); la sottolineatura sull’origine «straniera» dell’unico che torna (v. 18). L’intento del narratore è mostrare il passaggio dalla guarigione alla salvezza.

L’esperienza dello straniero lebbroso che incontra Gesù nel suo viaggio sta a indicare la vicenda di ogni uomo «lontano» da Dio: è l’inizio della nostra stessa storia. Eppure, l’incontro da solo non è sufficiente, perché – secondo il racconto – «dieci» furono «guariti» (vv. 12.14), ma «uno» solo fu «salvato» (vv. 15.19). C’è differenza, dunque, fra guarigione e salvezza. Gesù accorda miracolosamente la guarigione ai dieci lebbrosi, per dare loro un segno: per significare che egli è in grado di salvare la loro vita. Ma è necessario che ognuno sappia interpretare il segno ricevuto dal maestro e accetti tale proposta. Dei dieci sanati, solo «uno», «vedendosi guarito, torna indietro» (cf. v. 15), avendo fatto un collegamento fra quanto gli è capitato e la persona di Gesù. Il suo viaggio di ritorno è l’indizio di un riconoscimento: egli ha riconosciuto che Gesù è all’origine della sua guarigione, e di questo è grato (cf. v. 16).

lunedì 7 ottobre 2019

conclusione di un servizio


Da quest'anno - per volontà dei miei superiori francescani e per necessità impreviste a livello istituzionale nella famiglia religiosa - non posso più proseguire il mio servizio di docente invitato presso la Facoltà Teologica del Triveneto.

Un'esperienza molto vivace a arricchente, culturalmente e umanamente.

Auguro a tutti i colleghi docenti di continuare a testimoniare la loro passione per l'insegnamento e la verità come ne ho fatto esperienza nel passato.

Un grazie al Preside e alle autorità accademiche per avermi permesso questa bella esperienza in questi anni.

Un grazie al personale amministrativo e di segreteria/biblioteca per il supporto sempre valido e curato.

Pace e bene, fav - Padova, 7 ottobre 2019

domenica 6 ottobre 2019

accrescere la fede aumentando la gratitudine - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». (Lc 17,5-10)

Domenica XXVII del tempo ordinario – anno C -  La lettura liturgica consegna all’ascolto della comunità cristiana due brani differenti, proposti insieme semplicemente perché sono contigui nel testo lucano. Il primo presenta la domanda degli «apostoli» rivolta a Gesù (chiamato «Signore», come avviene solitamente in Luca) di «aumentare la loro fede». La risposta del maestro è sconcertante: se essi avessero anche una dose minima di fede opererebbero cose umanamente impossibili (vv. 5-6). In altri termini, essi sono privi di fede. Il secondo brano (riportato solo da Luca) esprime il comportamento e la condizione del «servo» nei confronti del suo Signore (vv. 7-10).

Siamo sempre nel contesto del viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Dopo le catechesi sulla misericordia (cf. Lc 15), sull’uso dei beni terreni (cf. 16,1-13), sulla povertà e ricchezza (cf. 16,19-31), il maestro tratta brevemente questioni diverse che si concludono con i due temi proposti dalla liturgia odierna.

Anzitutto, la fede (vv. 5-6). A differenza del testo parallelo di Mt 17,19-20, Luca introduce il motivo della fede senza un particolare contesto: sono gli «apostoli» che domandano al Signore una dose maggiore di fede. La risposta di Gesù fa comprendere che non è questione di quantità, ma di qualità: un «granellino» di fede autentica sarebbe sufficiente a operare prodigi.

Il secondo insegnamento del maestro (vv. 7-10) riguarda i modi e il senso del servizio del discepolo: in netto contrasto con una mentalità giuridica, piuttosto diffusa in ambiente giudaico e non solo, di sentirsi gratificati dalle opere compiute, in base alle quali avanzare diritti alla ricompensa divina (cf. Lc 18,9-14), Gesù afferma che «siamo servi inutili» e tali dobbiamo considerarci. Esclusa ogni autosufficienza (c£ Rm 3,27; 1Cor 1,29; Ef 2,9), rimane la sola «grazia» (cf. Ef 2,8).

Siamo servi inutili. Come si spiega questa frase?