Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre.
Io e il Padre siamo una cosa sola». (Gv 10,27-30)
IV Domenica di Pasqua – anno C – Tra l’esperienza storica della fede (il vivere da discepoli del Signore in questo mondo) e quella della salvezza definitiva, pienamente realizzata nel compimento del regno di Dio, vi è un rapporto di analogia, di continuità. Le letture di questa domenica lo lasciano intuire chiaramente. Vita e storia sono l’ambito in cui «le pecore ascoltano la voce del/ Signore» e «il Signore le conosce ed esse lo seguono» (Gv 10,27).
La rivelazione di Gesù come «porta delle pecore» (Gv 10,7) e «buon pastore» (Gv 10,11), non ha trovato alcuna accoglienza presso gli interlocutori giudei (vd. i versetti precedenti alla pericope di questa domenica). Costoro sono su un’altra lunghezza d’onda rispetto a quella del maestro. Dopo un’ulteriore richiesta (cf. Gv 10,24), che ha il solo effetto di evidenziare il loro rifiuto, Gesù riprende come in un epilogo riassuntivo quanto ha già affermato: è solo nella sintonia con lui, frutto della sequela di fede, che è possibile accogliere la sua rivelazione e trarne motivi d’incrollabile fiducia.
Come avviene nell’ambito delle relazioni interpersonali, anche nell’esperienza della fede è senz’altro questione di affinità, di sintonia. L’evangelista Giovanni lo lascia intravedere mediante l’impiego di alcuni termini ricorrenti: «ascoltare la voce» o «conoscere la voce» (Gv 10,3-5.16 e v. 27), e «conoscere» quale prerogativa tipica di relazione interpersonale tra il buon pastore e le sue pecore (Gv 10,14 e v. 27). Tale affinità, tuttavia, ha direttamente a che vedere con l’iniziativa divina, prima ancora che con le proprie scelte personali di accoglienza o di rifiuto: è il fatto di essere conosciuti da Gesù (v. 27), destinatari del dono della sua vita (v. 28), è l’essere proprietà del Padre (v. 29) a rendere possibile la sintonia che caratterizza una relazione di fede appassionata e vivace.
La mano di Gesù è la mano del Padre. Nessuno può strapparci dalla mano di Gesù, né dalla mano del Padre, perché sono la stessa mano operosa: mano creatrice che plasma l’uomo, mano che sana l’umanità ferita dal male e dal peccato. Gli uomini hanno tentato di fermare le mani di Gesù inchiodandole sulla croce, ma nemmeno quello è servito: sciolti i vincoli della croce e della morte le mani di Gesù – che sono le mani del Padre – sono divenute ulteriore segno di verità sull’identità del Pastore risorto e vivente.
San Francesco è molto coinvolto nell’immagine del Buon pastore riferita a Cristo. Sente di essere pecora amata da Dio e protetta e guidata dalla sua mano:
“E sempre costruiamo in noi un’abitazione e una dimora permanente a lui, che è il Signore Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, che dice: «Vigilate dunque e pregate in ogni tempo, perché siate ritenuti degni di sfuggire a tutti i mali che stanno per venire e di stare davanti al Figlio dell’uomo. E quando vi metterete a pregare, dite: Padre nostro che sei nei cieli». E adoriamolo con cuore puro, «perché bisogna pregare sempre senza stancarsi mai»; infatti «il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano, bisogna che lo adorino in spirito e verità». E a lui ricorriamo come al pastore e al vescovo delle anime nostre, il quale dice: «Io sono il buon Pastore, che pascolo le mie pecore e per le mie pecore do la mia vita»” (Regola non bollata, XXII : FF 61).
E le pecore elette che hanno seguito il Buon pastore capace di sostenere la passione della croce per loro ricevono la vita eterna:
«VI. L’IMITAZIONE DEL SIGNORE – Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore, che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce. Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e nella persecuzione, nella vergogna e nella fame, nell’infermità e nella tentazione e in altre simili cose, e per questo hanno ricevuto dal Signore la vita eterna. Perciò è grande vergogna per noi, servi di Dio, che i santi hanno compiuto le opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il solo raccontarle» (Ammonizioni, VI : FF 155).
E la familiarità si estende nel prodigio:
“Una volta, facendo viaggio da Siena alla vallata di Spoleto, il santo giunse in un campo dove pascolava un gregge abbastanza grande; egli lo salutò benevolmente, come era solito, e le pecore accorsero tutte da lui e, levando le teste e belando, rispondevano al suo saluto. Il suo vicario notò attentamente ciò che le pecore avevano fatto e seguendo con i compagni a passo più lento, disse agli altri: «Avete visto che cosa le pecore hanno fatto al padre? Veramente – soggiunse – è grande costui che gli animali venerano come un padre e che, pur privi di ragione, riconoscono come amico del loro Creatore»” (Trattato dei miracoli, 31 : FF 854)
Sant’Antonio di Padova, francescano, resta maggiormente coinvolto nell’identità Gesù-Padre:
«…come il raggio di sole, partendo dal sole illumina il mondo, e tuttavia dal sole non si allontana mai, così il Figlio di Dio scendendo dal Padre illumina il mondo, e tuttavia mai si allontana dal Padre, perché con il Padre è una cosa sola. Infatti disse egli stesso: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30)» (Sermoni, Domenica IV dopo Pasqua, 6).
«Il Figlio stesso infatti dice per bocca di Isaia: “Io ho fatto e io reggerò; io porterò e salverò” (Is 46,4). Fa’ attenzione ai quattro verbi: Io “ho fatto” l’uomo e io lo “reggerò” sulle mie spalle come una pecora smarrita e stanca; io lo “porterò” come la nutrice porta il bimbo tra le braccia. E che cosa può fare il Padre, se non rispondere: “Io salverò”? Giustamente quindi Cristo dice: “Io pregherò il Padre per voi; il Padre stesso vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito dal Padre”. Il Padre e il Figlio sono una cosa sola. Il Figlio stesso lo ha affermato: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Chi ama il Padre ama anche il Figlio, e il Padre e il Figlio amano lui. Nel vangelo di Giovanni infatti, il Figlio dice: “Chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21)» (Sermoni, Domenica V dopo Pasqua, 8).
dedicato a sr. AF
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