Gentili responsabili del Tribunale Diocesano di Padova [causesanti@diocesipadova.it],
ho accolto con profonda gioia la notizia dell’avvio del processo di beatificazione di mons. Giovanni Nervo. Ho avuto la fortuna di conoscerlo molti anni fa e mi sembra doveroso - in questo contesto suscitato dalla promulgazione dell’Editto - lasciare una traccia della mia personale gratitudine.
Sono fra Andrea Vaona, frate minore conventuale, presbitero. Nativo di Mestre-Venezia (26/02/1969), vivo ininterrottamente in Diocesi di Padova dal 2001. Religioso da 31 anni, presbitero da 24. Attualmente Vicario parrocchiale presso la Parrocchia S. Antonio d’Arcella a Padova.
La mia vocazione religiosa è passata attraverso un’esperienza centrale e irrinunciabile: il servizio civile con la Caritas Veneziana, dal 1990 al 1991, presso il centro di servizi “Banca del Tempo Libero” di Mestre (animato dalla Parrocchia di S. Lorenzo Martire di Mestre).
Dopo tanti anni sento di dover rinnovare ed esplicitare il mio ringraziamento alla Caritas Italiana per la felice intuizione che ebbe nel proporsi ed esponendosi come ente qualificato per sostenere (con non pochi sacrifici burocratici ed economici) il servizio civile alternativo, in quegli anni non facili dell’Obiezione di coscienza al servizio militare di leva obbligatoria.
L’impegno formativo alla vita religiose forse mi ha un po’ distratto successivamente, pertanto non so dire se siano stati fatti degli studi seri sociologici sull’impatto che centinaia e migliaia di giovani italiani hanno portato nella Chiesa italiana dopo l’esperienza umana e formativa del servizio civile in Caritas. Se tali studi non sono stati fatti forse andrebbero realizzati. E forse queste migliaia di persone potrebbero oggi ritrovarsi per la verifica del loro percorso e continuare ad offrire – come già immagino facciano – un senso critico in questi tempi difficili dove si parla di riarmo e di nuovo servizio militare obbligatorio…
In occasione di una settimana formativa estiva Caritas in Val di Fiemme per noi Obiettori di Coscienza, venni a comprendere (avevo solo 22 anni) per la prima volta del complesso e profetico lavoro svolto da mons. Giovanni Nervo perché la Caritas potesse entrare come ente educativo e assistenziale tra i giovani uomini cattolici (e non solo) italiani per offrire un’esperienza privilegiata e formativa nello spazio aperto dal servizio civile alternativo a quello della leva militare. Tengo a precisare che il progetto era soprattutto di tipo formativo, anche se per i più l’evidenza era quella di poter disporre di tanti giovani che garantivano continuità di lavoro e servizio nelle tante realtà “operative” affiliate alla Caritas diocesana e - attraverso questa – quella italiana.
Alcuni anni fa la mia Provincia religiosa invitò mons. Giovanni Nervo ad un incontro formativo annuale autunnale legato all’esperienza dei fondi di solidarietà ecclesiale e francescani. Mons. Giovanni, ormai in età avanzata, continuava ad esprimere un’energia positiva e incontenibile nel narrare le vicende della Caritas, del suo sogno che la Caritas fosse il cuore dell’esperienza ecclesiale, motivo propulsore di formazione di coscienza critica ancor più che ente operativo e assistenziale. Lo sguardo lucido nelle analisi… e lucido pure in lacrime velate per gli insuccessi o incomprensioni che potevano aver ostacolato il cuore del progetto.
Terminato l’incontro ebbi modo di avvicinarlo personalmente. Gli ho testimoniato la mia gratitudine per l’esperienza di servizio civile alternativo vissuta in Caritas veneziana, e di come avessi compreso che lui stesso era stato protagonista di quella felice intuizione. E di come quel passaggio fu centrale per la mia scelta francescana.
Lui, visibilmente sorpreso e commosso dalle mie parole, mi confermava che spesso nel suo itinerare in conferenze e convegni veniva avvicinato da laici o giovani preti che gli restituivano la gratitudine per l’esperienza fatta in Caritas in gioventù. Ed era davvero contento perché – diceva – aveva sempre spiegato anche ai vescovi più riottosi di fronte a questo “schieramento di parte” della Chiesa con i giovani “ribelli”, che questa esperienza avrebbe potuto portare spontaneamente vocazioni alla consacrazione e laici impegnati nel tessuto socio-ecclesiale.
Mi domandò se c’era un episodio che ricordavo importante e che volevo raccontargli della mia esperienza di Obiettore di coscienza in servizio a Mestre. Non esitai…
Natale 1990. Nel centro dove operavo - insieme ad un altro obiettore e diretto da una religiosa della Suore di Maria Bambina – ospitavamo 2 famiglie albanesi fuggite dalla tragedia del loro popolo che si consumava in quei mesi: 5 adulti e 4 bambini. Nei giorni precedenti alla festa realizziamo in un tardo pomeriggio il presepio nell’atrio del centro. Predisponiamo il tutto, il paesaggio, la capanna e tutto quanto serviva. Arrivano i 4 bambini che comprendevano già abbastanza bene la nostra lingua. Pensiamo di coinvolgerli: chiediamo loro di finire il presepio mettendo le statuine. Accettano con entusiasmo! Dopo una ventina di minuti arrivano dicendo che hanno finito. Li ringraziamo e andiamo a vedere il risultato. La statuina di Maria era in riva al laghetto con papere in chiacchere con la lavandaia; quella di Giuseppe intento in compravendita delle castagne del caldarrostaio; Gesù bambino osservato speciale dalla donna con l’anfora che se lo ritrova ai piedi nel sentiero seguita da suo figlio. Al centro della scena i tre Re Magi acclamati da un coro festante di pastori e zampognari. La capanna un ricovero per le pecore e l’asino e il bue perplessi di fronte ai cammelli… Fu spontaneo dire: “Ma è sbagliato!”. E sentirsi dire: “Perché?”. Fu un attimo, capimmo. Non avevano mai sentito parlare di presepi, di Gesù e di Maria, di Giuseppe, di stelle comete… di Vangelo. Il regime comunista albanese aveva estirpato ogni riferimento cristiano… Con pazienza cominciammo a sistemare insieme ai bimbi le statuine “disordinate”, raccontando loro per la prima volta chi era quel bambino chiamato Gesù e la sua famiglia e la sua storia…
Mons. Giovanni restò molto colpito dal mio racconto e mi ringraziò con una stretta di mano calorosa. Più tardi scoprii che nel 2009 aveva scritto: “Chiediamo ogni giorno allo Spirito Santo il dono della ‘parresia’, della franchezza, che ci aiuti a parlare chiaro e a comportarci in coerenza anche controcorrente, a difesa della dignità e dei diritti dei più deboli”. Mi ci ritrovai, mi ci ritrovo.
Possa la testimonianza di mons. Nervo illuminare ancora a lungo la Chiesa italiana e universale, particolarmente in questi tempi difficili dove le diseguaglianze socio economiche e leggi inadeguate aggravano la questione della povertà per sempre più ampie fasce di popolazione.
In fede,
fra Andrea Vaona