martedì 29 gennaio 2019

eppur si muove(va) - la "Rebus" del mio trisavolo Carlo Menon

In questo video-documento simpatico e commovente la vetturetta "Rebus" costruita dal mio trisavolo Carlo Menon (Roncade-TV 1857 - Treviso 1934):  quadriciclo in movimento nei primi anni '70 del secolo scorso, quando aveva quasi 100 anni sulle... bielle!

NOTA 30 gennaio 2019 - Il video è stato rimosso per problemi di copyright. Amen.

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CARLO MENON - E’ il fondatore della ‘’Ditta Carlo Menon’’, officina di fabbro ferraio e di velocipedi in acciaio su commissione, che nasce nel 1875 nel centro di Roncade (Treviso-Italia).
Già a 12 anni Carlo inizia a lavorare presso un fabbro ferraio e a 17 si mette in proprio, ideando un primo biciclo in legno.
Nel 1887 Carlo Menon e Fausto Vianello costruiscono un biciclo con ruote in legno cerchiate in ferro.
Primo in Italia, Menon realizza biciclette con ruote di diametro uguale.
Nel 1896 partecipa alla costruzione di un aereo, un biplano in canne d’India e tubi d’acciaio con propulsione a pedali.
L’anno dopo si cimenta con le automobili e realizza, impiegando un motore francese da 2,5 HP, una vetturetta chiamata ‘’carrozza senza cavalli’’.
Affronta da solo i problemi legati ad accensione, raffreddamento, cambio, frizione e differenziale. Realizza ruote in acciaio con raggi, con pneumatici forniti dalla Pirelli.
Il motore è ad un cilindro, le sospensioni sono a molla; nelle gare raggiunge la velocità di ventisette chilometri orari.
La ditta, condotta dopo la morte del fondatore, nel 1924, dai figli, cresce negli anni successivi lavorando per conto dell’esercito e delle ferrovie.
Nel 1940 impiega 350 dipendenti ed è l’unica fonte di lavoro per il paese. (fonte roncade.it)
Altre info qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Menon

domenica 27 gennaio 2019

premurose attenzioni - post per #bibbiafrancescana

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me; / per questo mi ha consacrato con l’unzione / e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, / a proclamare ai prigionieri la liberazione / e ai ciechi la vista; / a rimettere in libertà gli oppressi, / a proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 1,1-4; 4,14-21).

III domenica del tempo ordinario – anno C – Il brano è composito, perché costituito da due parti distinte: il prologo dove l’evangelista Luca precisa i motivi per cui, dopo ricerche accurate, ha deciso di scrivere il vangelo (1,1-4) e il discorso nella sinagoga di Nazaret con il quale Gesù dà inizio al suo ministero pubblico e presenta se stesso come colui che è venuto a compiere la profezia di Isaia (4,14-21). Nell’«oggi» di Gesù ha inizio l’«anno di grazia» del Signore.

Fra gli evangelisti, Luca è l’unico a menzionare le fonti di cui si è servito per scrivere (1,1-4), e fra queste vi è molto probabilmente il vangelo di Marco o altra fonte comune  con Marco. Lo scopo che lo scrittore si prefigge è di mostrare la solidità degli insegnamenti impartiti dagli apostoli mettendo il lettore in grado di conoscere Gesù, andando al di là del racconto, dei fatti e dei detti narrati. La sua premura si evince anche all’inizio della sua seconda opera letteraria, gli Atti degli apostoli:

«Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio…» (At 1,1-3).

Luca parla di “ricerche accurate”: significa forse che Luca vuole fare opera di puro storico? Quando lo si confronta con gli altri evangelisti, ci si accorge che non è così. Se Luca ha, talvolta, cercato di dare agli avvenimenti più coerenza e verosimiglianza, la critica storica riconosce che i racconti di Marco e, qualche volta, anche quelli di Matteo sono più antichi e vicini alla vita di Gesù. Sarebbe perciò un errore vedere in Luca uno storico nel senso moderno della parola. A quell’epoca, assai più di oggi, gli storici sapevano che l’interpretazione dei fatti era essenziale al loro racconto. E ciò vale assai di più nel caso dei vangeli. Non si tratta di riportare il passato per il passato, ma di proclamare la fede mettendo il lettore alla presenza del Cristo risorto, identico a Gesù di Nazaret: i fatti che lo riguardano sono perciò riferiti alla luce della Risurrezione. Questa mutua influenza di Cristo glorioso e di Gesù di Nazaret dà ai vangeli il loro carattere specifico.

domenica 20 gennaio 2019

le sue ultime volontà - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. (Gv 2,1-11)

II Domenica del tempo ordinario – anno C – Torna il “Tempo Ordinario” dopo il “Tempo di Avvento-Natale”: Ordinario nel senso del tempo della sequela feriale al maestro che è quel Dio bambino ormai adulto, che passa, che chiama, che agisce per testimoniare il Padre “suo” che è Padre “nostro”. E pur nel tempo Ordinario, il brano è di collegamento con le “Epifanie“ proposte dalla liturgie dal 6 gennaio (Epifania per eccellenza) ad oggi (passando per il racconto del Battesimo di Gesù della seconda domenica del tempo di Natale).

La liturgia presenta il racconto di una festa di nozze nel contesto della quale accade il miracolo del vino: questo è «il primo segno» operato da Gesù nel quarto vangelo! Distinguiamo tre parti, con una introduzione (vv. 1-2) e una conclusione (v. 11). Tre dialoghi con personaggi diversi: il primo fra la madre e Gesù (vv. 3-5), provoca il miracolo; il secondo fra Gesù e i servi (vv. 6-8); il terzo fra il maestro di tavola e lo sposo (vv. 9-10). La conclusione (v. 11) è il commento teologico dell’evangelista che fa risaltare il carattere cristologico dell’episodio. Il racconto è delimitato da una precisa cornice narrativa, cronologica e geografica (vv. 1.11-12). Siamo in Galilea dove Gesù ha chiamato i primi discepoli (cf. Gv 1,43 ss.), precisamente a Cana, un villaggio sul pendio di una collina a circa otto chilometri a nord-est di Nazaret, durante uno sposalizio.

Dal testo non si può precisare quali fossero i rapporti di Maria con gli sposi, tuttavia Maria si trova già lì, in attesa (cf. v. 1), precede Gesù. Maria è presentata da Giovanni nella sua qualità di «madre di Gesù», come sotto la croce (cf. Gv 19,25-27), ma il Figlio la chiama «donna» (v. 4), mai madre; né è mai chiamata «Maria» nel quarto vangelo. Maria interviene per sollecitare l’aiuto di Gesù agli sposi in difficoltà (v. 3). Gesù interviene e opera il primo segno. Nel quarto vangelo, i miracoli compiuti da Gesù sono definiti «segni» (cf. Gv 2,23; 4,48.54; 6,2.14; 12,37; 20,30), cioè simboli storici che rivelano il mistero della sua persona e della sua missione (cf. Gv 10,38; 14,10). Essi manifestano la «gloria» avuta dal Padre come Figlio unigenito (v. 11; cf. Gv 1,14). Maria chiede l’obbedienza dei servi: «Fate quello che vi dirà» (v. 5). Il miracolo risalta in tutto il suo splendore, soprattutto nell’effetto di condurre alla fede piena i discepoli: l’espressione «credettero in lui» (v. 11) è tipica di Giovanni per indicare la fede.

giovedì 17 gennaio 2019

il vero ministrante

"Il ministrante (dal latino ministrare, servire) è propriamente un fedele laico (uomo o anche donna, se consentito dal vescovo diocesano) il quale svolge un servizio alla comunità cristiana, ai sacerdoti e ai diaconi durante la liturgia e nelle altre celebrazioni di preghiera". Una definizione tra le tante possibili...

Domenica dopo tanti anni di presbiterato ho conosciuto un autentico ministrante. Mentre celebravo in casa di riposo la Domenica del Battesimo del Signore.

Una celebrazione semplice ma ben curata, con alcuni segni preparati con le suore dell'Istituto: tra questi, il momento dell'atto penitenziale esplicitato con l'aspersione con l'acqua lustrale, in ricordo del battesimo comune.

Passando tra le file di banchi e sedie a rotelle, benedicendo con l'aspersorio - accompagnato dal canto dell'assemblea - noto ai margini della chiesa un distinto signore, capelli e baffi bianchi, sguardo lucido e penetrante: vicino a lui una donna seduta nella sedia a rotelle, sguardo assente e fisso, segni di una infermità seria e invalidante, anche nella sfera comunicativa. Noto che l'uomo non è un semplice volontario: è molto prossimo alla signora, e la cinge in un dolce abbraccio standole seduto accanto.

La liturgia prosegue con i suoi riti e le sue orazioni per lasciare posto alla Parola di Dio. Viene proclamato Isaia:
«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio –. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta...» (Is 40,1)
Dall'alto del semplice presbiterio posso vedere con calma e discrezione quanto accade nell'aula. E il mio sguardo torna su quella coppia, che mi evangelizza senza nulla dire.

Nel silenzio rotto solo dalla voce dei lettori all'ambone, il signore sta vicino alla signora, accarezzandola lievemente e teneramente alla guancia. E la signora, prima con lo sguardo fisso e inespressivo, si scioglie in un chiudere le palpebre, tutta concentrata a nutrirsi di quelle carezze e - forse - delle parole che sta udendo.

«Consolate, consolate il mio popolo - dice il vostro Dio...». In un'etimologia bislacca che mi viene alla mente mentre osservo la scena, penso al "consolare" come da "cum - solum"... stare con chi è solo.

Il gesto di quell'uomo diventa la materializzazione della Parola di Dio. Il gesto che rompe la solitudine portata dalla malattia diventa il gesto più grande di ministerialità liturgica che abbia mai visto in 17 anni di servizio sacerdotale. Nulla di indegno, nulla di scandaloso, nulla di ostentato: dubito che molti altri se ne siano accorti. Eppure nulla di più "vero".

Il gesto proseguirà per tutta la celebrazione della messa, discreto e lieve, con solo qualche piccolo intervallo causato dalla ritualità.

Al termine della celebrazione, tra la piccola confusione che si crea per accompagnare gli ospiti tra i  corridoi alle loro residenze, ho la fortuna di incontrare quell'uomo così servizievole che si prodigava di aiutare anche altri.

Lo avvicino e lo ringrazio per quanto mi ha comunicato e testimoniato. Lui un po' sorpreso e forse imbarazzato perché mi fossi accorto di loro, mi dice solamente: "Come potrei altrimenti... cinquant'anni che ci amiamo...".
«Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!» (san Paolo, Prima lettera ai Corinzi 1,13).




lunedì 14 gennaio 2019

dita al cielo: arrivare al risultato con efficacia e astuzia.

La serata si prospettava piacevole: incontrati tra i vialetti di S.Maria delle Carceri gli scout adulti che mi avevano invitato, sono stato portato subito a tavola per la cena da condividere con loro. Più tardi avrei parlato di spiritualità camaldolese in una notte invernale fredda e limpida  ma in un luogo  davvero suggestivo, tuttavia cominciare con una bella cenetta informale preparata con cura dai cambusieri, beh... rinfrancava lo spirito.

Imparo tante cose del bel Centro di Spiritualità Scout di Carceri "Giulia Spinello", di come viene animato e da chi è frequentato: un progetto davvero indovinato che fa vivere un luogo fantastico.

Imparo (meglio, vivo) però anche una cosa che - per me inattesa - attiva tanti pensieri interessanti, pur essendo una cosa molto marginale o scontata in ambiente scout.

La sala da pranzo, accogliente pur spartana, è piena di commensali entusiasti della giornata trascorsa di lavoro-ricerca. E come commensali scambiano tante idee tra loro. Per capirsi è necessario alzare la voce, inevitabile. Pure io per dialogare devo concentrarmi su quanto mi raccontano i compagni di tavolata, selezionando mentalmente le loro voci dalle altre.

Ad un certo punto vedo vicino a me una delle commensali alzare il braccio con un dito al cielo. In pochi istanti spuntano altre braccia col dito al cielo e le voci si spengono rapidamente, quasi "magicamente" direi. Ottenuto il silenzio, la ragazza può tranquillamente e pacatamente dare l'informazione necessaria sui tempi per concludere la cena e avviare le altre attività.

In altri contesti collettivi a me ben noti avrei assistito a gente che alzava la voce per ottenere  attenzione e ascolto, seguita dopo troppo tempo dallo scroscio di "shhhhh" che per ottenere silenzio provocano rumore (e irritazione). Nei conventi il superiore usa una campanella per destare l'attenzione quando si chiudono le buone chiacchiere fine pasti...

Tornando a notte fonda dall'incontro vissuto con loro, riflettevo ancora sull'insegnamento non banale di quanto imparato da questo "codice" collettivo. Per ottenere il silenzio necessario per la comunicazione corretta non viene usato lo stesso canale sensoriale: non si alza la voce, non si fa rumore. Si passa al canale sensoriale visivo, che attira l'attenzione a partire di chi è prossimo e nella sua evidenza (mano alzata) diventa contagioso amplificando nel silenzio l'effetto desiderato. 

Quando insegno la mano alzata è quella dello studente che chiede la parola per una domanda o una considerazione, mentre il prof sta parlando. Là il contesto è istituzionale e la comunicazione è bi-direzionale come ci viene insegnato nelle prime giornate tra i banchi di scuola della nostra infanzia.

Mi resta questa profonda suggestione: che la via di soluzione di un "problema" possa essere trovata con mezzi non impositivi e aggressivi semplicemente cambiando il sistema di riferimento a partire da un codice riconosciuto dove il bisogno del singolo diventa bisogno "di tutti". Perché se non altro è "per tutti".

Quali applicazioni potrebbe avere tutto questo in processi comunicativi sempre più deteriorati per eccesso di velocità comunicativa o per sproporzioni di forza espressiva? 

Perché da un dito al cielo a un dito per terra lo spazio è davvero piccolo:
«..."Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei". E chinatosi di nuovo, scriveva per terra...» (Gv 8,4-8)




domenica 13 gennaio 2019

epifanie - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». […]
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». (Lc 3,15-16.21-22)

II domenica dopo il Natale – Festa del Battesimo del Signore – anno C – L’inno dei Vespri in questi giorni dopo l’Epifania ci aiuta a comprendere il senso della Festa del Battesimo di Gesù, inserita nella manifestazioni (ossia epifanie) di Cristo:

Perché temi, Erode, / il Signore che viene? / Non toglie i regni umani, / chi dà il regno dei cieli.
I Magi vanno a Betlem / e la stella li guida: / nella sua luce amica / cercan la vera luce.
Il Figlio dell’Altissimo / s’immerge nel Giordano, / l’Agnello senza macchia / lava le nostre colpe.
Nuovo prodigio, a Cana: / versan vino le anfore, / si arrossano le acque, / mutando la natura.
A te sia gloria, o Cristo, / che ti sveli alle genti, / al Padre e al Santo Spirito / nei secoli dei secoli. Amen.

Oltre all’Epifania per eccellenza, quella dei Magi, ecco le altre due prime manifestazioni di Cristo: il battesimo (con la teofania, la voce che certifica chi sia il nazareno) e le nozze di Cana.

Il brano proposto in questo “anno C”, secondo san Luca, si riveste dei tratti caratteristici dell’evangelista: l’attenzione ai piccoli, l’importanza della preghiera, il dono dello Spirito Santo. Il racconto è composto da due parti. La prima mette in rilievo la differenza tra la purificazione giudaica offerta dal Battista e il battesimo portato da Gesù, in Spirito Santo e fuoco (vv. 15-16). Nella seconda, Gesù, solidale con il popolo peccatore e investito dalla potenza dello Spirito, inaugura la sua missione (vv. 21-22).

domenica 6 gennaio 2019

avevano immaginato questo Re neonato in modo diverso - post per #bibbiafrancescana

Udito il re, [i Magi] partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. (Mt 2,9-11)

Epifania di N.S. Gesù Cristo – San Francesco d’Assisi come i Magi? Ce lo spiega papa Benedetto XVI nel suo famoso discorso ai giovani radunati per la Giornata Mondiale dei Giovani a Colonia (20 agosto 2005, qui il testo completo):

Cari giovani! Nel nostro pellegrinaggio con i misteriosi Magi dell’Oriente siamo giunti a quel momento che san Matteo nel suo Vangelo ci descrive così: “Entrati nella casa (sulla quale la stella si era fermata), videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono” (Mt 2,11). Il cammino esteriore di quegli uomini era finito. Erano giunti alla meta. Ma a questo punto per loro comincia un nuovo cammino, un pellegrinaggio interiore che cambia tutta la loro vita. Poiché sicuramente avevano immaginato questo Re neonato in modo diverso. Si erano appunto fermati a Gerusalemme per raccogliere presso il Re locale notizie sul promesso Re che era nato. Sapevano che il mondo era in disordine, e per questo il loro cuore era inquieto. Erano certi che Dio esisteva e che era un Dio giusto e benigno. […] Per cercare questo Re si erano messi in cammino: dal profondo del loro intimo erano alla ricerca del diritto, della giustizia che doveva venire da Dio, e volevano servire quel Re, prostrarsi ai suoi piedi e così servire essi stessi al rinnovamento del mondo. Appartenevano a quel genere di persone “che hanno fame e sete della giustizia” (Mt 5,6). […].

martedì 1 gennaio 2019

Theotókos - post per #bibbiafrancescana

Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio. (Gal 4,4-7)

1 Gennaio – Maria Santissima Madre di Dio – In questo brevissimo testo cristologico san Paolo presenta il mistero dell’incarnazione. Il conciso accenno, nel v. 4, a Gesù, «nato da donna», illumina e nello stesso tempo lascia nell’anonimato la figura della madre del Salvatore. Con la nascita del Messia da lungo atteso entriamo nella «pienezza del tempo».

«Nato da donna» (v. 4). Così si parla, forse per la prima volta nel Nuovo Testamento, della madre di Gesù. Il vangelo ce ne rivelerà il nome: Maria (cf. Mt 1,16.18; Lc 1,26). Se i pensieri di pace che il Signore nutre da sempre nei confronti dell’uomo hanno potuto realizzarsi, è perché questa donna ha dato il suo consenso all’azione divina. Nulla di apparentemente più semplice e normale di un bambino che viene alla luce, ma nulla – in questo caso – di più vertiginoso: Dio si immerge nella povertà della condizione umana e una fanciulla acconsente che il suo corpo divenga tempio della divina presenza. Maria resterà per sempre «madre», madre dell’uomo Cristo Gesù e Madre del Dio Altissimo (Theotókos, in greco). Il suo grembo è il luogo in cui si incontrano l’immensità di Dio e la piccolezza e la fragilità della creatura umana. È questo il «mirabile scambio» che muta il nostro destino, perché ora anche la più povera carne umana racchiude il tesoro di un seme d’eternità.

Ci volle un concilio, il concilio di Efeso (431 d.C., il terzo concilio ecumenico), perché la Chiesa facesse discernimento su questa verità e la indicasse corretta e degna della contemplazione dei credenti:

«Noi quindi confessiamo che il nostro Signore Gesù Figlio unigenito di Dio, è perfetto Dio e perfetto uomo, (composto) di anima razionale e di corpo; generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, nato, per noi e per la nostra salvezza, alla fine dei tempi dalla vergine Maria secondo l’umanità; che è consostanziale al Padre secondo la divinità, e consostanziale a noi secondo l’umanità, essendo avvenuta l’unione delle due nature. Perciò noi confessiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore. Conforme a questo concetto di unione inconfusa, noi confessiamo che la Vergine santa è Madre di Dio (Theotókos), essendosi il Verbo di Dio incarnato e fatto uomo, ed avendo unito a sé fin dallo stesso concepimento, il tempio assunto da essa» (*).

Il brano della lettera ai Galati che la liturgia ci propone come seconda lettura è un passaggio della missiva mandata da san Paolo ai credenti della Galazia: secondo gli studiosi tale lettera venne scritta proprio ad Efeso, ma moltissimi anni prima del concilio omomimo: verso l’anno 54 d.C. E’ questa pertanto la prima traccia ‘archeologica’ che troviamo nel Nuovo Testamento della menzione che il Figlio di Dio è nato da una donna. Le narrazioni evangeliche di Matteo e Luca sono molto più tardive nella loro composizione (Matteo circa 80 d.C.; Luca circa 85 d.C.) e per questo molto più complete riguardo il ruolo di Maria, che san Paolo non cita nemmeno nel nome.