mercoledì 25 dicembre 2019

venerdì 13 dicembre 2019

Andate a riferire - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui». (Mt 11,2-11)

Domenica III del Tempo di Avvento – anno A – In questa domenica di Avvento Giovanni Battista ci guida alla ricerca e al riconoscimento di Gesù, di «colui che deve venire» (v. 3) e che l’umanità attende, esprimendo in varie maniere la sua speranza. La Solennità dell’Immacolata 2019 ha “nascosto” la II Domenica di Avvento dove avremmo trovato ancora il Battista (Mt 3,1-12) all’inizio del suo ministero e annuncio. In questo testo di Mt 11 Gesù fa un grande elogio alla personalità profetica del precursore: «Non è sorto uno più grande di lui» (cf. v. 11a). Colpisce la precisazione finale alquanto misteriosa: «Tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (v. 11b). Ossia, la grandezza ormai si misura in rapporto al regno e non più alla funzione profetica, rispetto alla quale Giovanni fu l’ultimo grande interprete!

Nei dieci versetti del testo evangelico risulta ovviamente centrale la risposta di Gesù alla questione posta da Giovanni «per mezzo dei suoi discepoli» (v. 2b). Tuttavia, va tenuto presente il contesto: dal carcere, in cui si trova, Giovanni «sente parlare delle opere del Cristo» (v. 2a). Da qui l’invio di discepoli a Gesù: non erano dunque opere che lo convincevano quelle di Cristo? Gesù enumera il tipo di opere in cui chiede di essere riconosciuto, in linea con i grandi annunci profetici (cf. Is 29,18-19; 35,5-6; 61,1). Sorprendente, ma pure significativa, è la frase conclusiva: «E beato è colui che non si scandalizza di me!» (v. 6).

Gesù è il Messia della liberazione. Ma il prezzo da pagare è alto. E lo si vede nelle perplessità di Giovanni il Battista: Gesù non corrisponde a quell’attesa; annuncia pace e perdono; viene per i malati, i poveri, gli smarriti. Gesù scandalizza tutti con il Suo metodo, anche quelli che credono di conoscerlo. Bisogna mettersi in umile ascolto. Occorre essere pazienti, come è paziente Dio, che attende la nostra conversione; rinfrancare i cuori e non temere; avere la libertà interiore e fare la propria scelta. Allora saremo beati, come dice Matteo: «Beato chi non si scandalizza di me».

domenica 1 dicembre 2019

atelier d’avvento - post per #bibbiafrancescana

Fratelli, questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti.
La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce.
Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo. (Rm 13,11-14a)

I domenica di Avvento – anno A – Comincia un nuovo anno liturgico, quest’anno in compagnia dell’evangelista Matteo. Tuttavia – visto che sono numerosi i contributi passati e presumibilmente futuri che si concentrano sul testo evangelico proposto dal lezionario festivo – quest’anno cercheremo di prestare attenzione anche alla prima o seconda lettura della liturgia, sempre con la prospettiva di Bibbia Francescana. L’intento è quello di poter vivere intensamente il Tempo di Avvento con la sua profondità, senza lasciarsi “divorare” da un contesto che ci impone già il Natale.

Poniamo dunque l’attenzione oggi sulla seconda lettura proposta dal Lezionario. Nella sezione esortativa della sua grande lettera ai Romani, san Paolo traccia alcuni itinerari di vita nuova in Cristo. Richiesta ineludibile è che ci si allontani da una certa mentalità di questo secolo: nelle relazioni reciproche fra credenti e pure verso tutti gli uomini. Criterio fondamentale sia dunque l’«onestà del comportamento» da parte dei cristiani, «come in pieno giorno!» (v. 13).

Come già nel testo di Isaia proposto nella prima lettura (Is 2,1-5), anche in questo passo epistolare lo sguardo è rivolto al futuro: a un giorno, che ormai è vicino. Esso sollecita noi a «svegliarci dal sonno» (cf. v. 11), ad assumere uno stile di vita ispirato al vangelo di Gesù Cristo. C’è dunque una svolta da imprimere al proprio agire quotidiano.

domenica 24 novembre 2019

Diritto di vita e di… vita eterna! - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». (Lc 23,35-43)

XXXIV Domenica del Tempo ordinario – anno C – Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo – Seguendo il vangelo secondo Luca, la liturgia ci propone per questa ultima domenica dell’anno liturgico la scena della crocifissione di Gesù. Proprio lì, sulla croce, Gesù è riconosciuto «re»: viene condannato alla croce perché «afferma di essere il Cristo re» (cf. Lc 23,2) e questo è anche il motivo dello scherno («Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso»: v. 37) e della condanna: «Questi è il re dei Giudei» (v. 38). Proprio sulla croce Gesù si comporta da re con la promessa sicura e «regale» che riserva al malfattore pentito (vv. 42-43).

L’episodio del «malfattore pentito» è raccontato solo da Luca e strutturato come una esemplare scena penitenziale, con tutti gli elementi che occorrono: l’avvicinamento a Gesù, la confessione dei peccati, la domanda di perdono e di salvezza, l’assoluzione dalla colpa, il perdono (vv. 40-43).

Sulla croce Gesù fa l’incontro più struggente e il malfattore diventa l’ultimo significativo modello di convertito. Uno dei due malfattori appesi alla croce prende coscienza dei propri peccati, se ne pente e chiede a Gesù la forza per cambiare vita: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!» (v. 42). La splendida preghiera del brigante gli apre le porte del regno: come il pubblicano al tempio, anche questo peccatore, consapevole del suo peccato, affidandosi al Cristo re, ottiene la giustificazione.

domenica 17 novembre 2019

la perseveranza della goccia d’acqua - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita». (Lc 21,5-19)

Domenica XXXIII del tempo ordinario – anno C – Come negli altri sinottici, anche in Luca il racconto del ministero pubblico di Gesù termina con un discorso di genere apocalittico e contenuto escatologico. Ormai verso la fine dell’anno liturgico, mentre la lettura continua del vangelo secondo Luca sta volgendo al termine, siamo invitati, seguendo Gesù che insegna nel tempio di Gerusalemme, ad ascoltare un pezzo del suo ultimo discorso pubblico sul compimento della sua vita e della storia intera.

La scelta liturgica di questo testo intende orientare l’attenzione dei fedeli al compimento futuro del progetto divino: è lo stesso intento che mosse anche gli antichi autori cristiani a tramandare il discorso escatologico di Gesù, formulato secondo il genere letterario apocalittico.

Il linguaggio del testo non deve trarre in inganno: non si tratta, anzitutto, di minacce relative alla fine del mondo, quanto di una forte esortazione all’attesa vigilante e di un incoraggiamento per le situazioni difficili, riconoscendo che, comunque e dovunque, la storia è saldamente nelle mani di Dio. Quindi, contrariamente a quel che comunemente si dice e si pensa, il linguaggio apocalittico non è un’espressione di angosciato catastrofismo, bensì uno strumento di conforto e consolazione.
Inoltre, dal momento che tutti i sinottici collocano il discorso sulla fine immediatamente prima del racconto della passione e morte di Gesù, tale posizione assume un significato rilevante: svolge, infatti, il ruolo letterario di collegamento fra il ministero pubblico di Cristo e la fine della sua esistenza terrena, fungendo anche da introduzione «profetica» alla narrazione della Pasqua. Si parla del futuro e della fine, ma lo scopo non è tanto quello di prevedere o di minacciare la fine del mondo, quanto quello di preparare l’ascoltatore del vangelo a comprendere la passione di Gesù come «compimento» del progetto di salvezza di Dio, imparando a riconoscere in tutte le difficoltà la presenza attiva del Signore che porta a compimento la sua opera di salvezza. Il testo è quindi di tipo pasquale.

domenica 10 novembre 2019

Dio non è dei morti - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». (Lc 20,27-38)

Domenica XXXII del Tempo ordinario – anno C – Dopo l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, i vangeli sinottici narrano una serie di incontri-scontri del maestro con i vari gruppi rappresentativi del popolo giudaico. Il brano contiene la controversia con il gruppo dei «sadducei», la classe aristocratica dei sacerdoti (vv. 27-33). La risposta di Gesù evidenzia la fondatezza della dottrina della «risurrezione» e precisa il modo in cui la si deve intendere: non come un ritorno alla condizione terrena, ma come un’autentica novità di vita (vv. 34-38).

I «sadducei» erano i sacerdoti del tempio, custodi della legge e conservatori della tradizione. Accettavano solo il Pentateuco come Scrittura ispirata e, poiché in esso non si parla esplicitamente di risurrezione, essi la ritenevano una dottrina nuova e quindi la rifiutavano. Poiché era noto che Gesù parlava della risurrezione e la annunciava come contenuto nel suo messaggio, i sadducei si avvicinano a lui con intenzione polemica (v. 27), al fine di metterlo in ridicolo e mostrare come la dottrina della risurrezione non possa reggersi.

domenica 3 novembre 2019

l’oggi di Dio cambia la storia - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». (Lc 19,1-10)

Domenica XXXI del Tempo ordinario – anno C – Verso la conclusione narrativa del viaggio di Gesù diretto a Gerusalemme, Luca narra l’incontro del Signore con un peccatore e il suo radicale cambiamento. Il racconto di Zaccheo si presenta come un’autentica sintesi della teologia lucana, in cui l’evangelista raccoglie con abilità gli insegnamenti che più gli stanno a cuore: la possibilità attuale di salvezza, la conversione del ricco e il saggio uso del denaro, la gioia dell’incontro e il compimento del progetto divino.

Zaccheo è l’emblema del grande peccatore: ma Gesù è venuto a «cercare» proprio lui, proprio perché «perduto» (v. 10). Sembra che sia il pubblicano a prendere l’iniziativa, in realtà è Gesù che vuole e organizza l’incontro: poiché il progetto benevolo di Dio riguarda la salvezza dell’uomo, Gesù «deve passare» dov’è il peccatore Zaccheo (v. 4) e «deve fermarsi a casa sua» (v. 5). Proprio lì il maestro «doveva» andare, perché quell’uomo malato aveva bisogno del medico e il medico è venuto per curarlo.

Luca insiste volentieri sull’attualità della salvezza. Utilizzando per ben due volte l’avverbio di tempo «oggi» (vv. 5.9) egli intende dire che non si tratta di un fatto passato, accaduto una volta e fuori dalla portata degli ascoltatori: la salvezza donata da Gesù è al contrario un evento contemporaneo a chiunque legge o ascolta il vangelo. Inoltre, l’insistenza di Luca nel far riferimento alla «gioia» (v. 6) nel contesto della conversione sembra che voglia dire proprio questo: chi si converte al Signore con tutto il cuore scopre finalmente una gioia profonda e anche Dio è contento perché l’incontro con la sua creatura è divenuto possibile.

domenica 27 ottobre 2019

distanze - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». (Lc 18,9-14)

Domenica XXX del Tempo ordinario – anno C – Subito dopo la parabola del giudice e della vedova, proposta domenica scorsa (cf. Lc 18,1-8), Luca narra la parabola del fariseo e del pubblicano, offerta per questa domenica. Essa presenta due modelli di orazione: uno presuntuoso e scorretto, l’altro umile e valido. Anche in questo caso, il narratore spiega in anticipo il senso del racconto e manifesta il motivo per cui Gesù ha esposto la parabola: «per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri» (v. 9).

Il racconto ha di mira la categoria dei «farisei», cioè quelle persone molto religiose che, nella tradizione ebraica, emergevano per impegno morale e devozione. Nel racconto evangelico non troviamo una vera e propria parabola, perché non c’è una storia in atto. Si tratta piuttosto di due quadretti contrapposti, con un giudizio finale attraverso il quale Gesù fa comprendere chiaramente qual è la sua posizione e, quindi, dove sta il bene e il male.

Entrambi i personaggi «salgono al tempio a pregare» (v. 10), perché entrambi sono religiosi, ma hanno vite diverse e mentalità diverse. Il primo personaggio è una persona onesta e devota, retta nell’agire e formata nell’orazione (vv. 11-12); il secondo, invece, è un collaborazionista dei romani, quindi un traditore della patria è certamente un corrotto (v. 13). Dopo i due ritratti, ridotti all’essenziale, Gesù esprime chiaramente un giudizio e lo formula con un linguaggio «paolino», adoperando il concetto di giustificazione: «Questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro» (v. 14). Come insegna san Paolo, la giustificazione non avviene in forza delle opere e dei meriti umani, ma in virtù della fede: in tal modo la situazione si capovolge e, contro ogni apparenza devota, torna a casa «giusto» il peccatore!

domenica 20 ottobre 2019

Sicuramente! Ma dove? - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». (Lc 18,1-8)

Domenica XXIX del Tempo Ordinario – anno C – Durante il viaggio verso Gerusalemme Gesù forma i suoi discepoli e, in tale contesto, Luca propone una parabola sulla preghiera (vv. 2-4). Il narratore introduce il racconto spiegando il messaggio e anticipandone l’insegnamento: la vicenda emblematica narrata richiama la necessità di «pregare sempre, senza stancarsi» (v. 1). Protagonista della preghiera è una donna debole, senza appoggi virili, abbandonata dalla società e vittima di prepotenti oppressori.

La trama dell’episodio si avvicina a quella della parabola dei due amici (cf. Lc 11,5-8). Luca, infatti, ama raddoppiare le immagini e affiancare vicende simili con protagonisti ora un uomo, ora una donna: è un suo modo per sottolineare e rivalutare il ruolo delle donne nell’esperienza della vita cristiana. Eppure, rispetto alla vicenda dell’amico che va a chiedere il pane in piena notte, c’è qui una profonda differenza: l’altro, a cui si rivolge la preghiera, non è un amico, ma uno estraneo e perverso (v. 2). Ci è facile capire il paragone di Dio con un amico, mentre ci riesce difficile comprendere il paragone con un «giudice» disonesto. È logico che quella vedova si rivolga al giudice per avere giustizia (v. 3): sarebbe suo compito istituzionale garantire l’applicazione del diritto e venire in soccorso a una persona debole e indifesa. Potremmo capire che Dio venga paragonato a un giudice, ma è strano che il racconto sottolinei con forza e insistenza la disonestà del personaggio parabolico. Egli non vuole ascoltare il diritto di quella donna e non gli interessa fare il proprio dovere (v. 4): non è mosso da un tornaconto umano, né da una morale religiosa («Non teme Dio»!) né da una morale laica («Non ha rispetto di nessuno»!) Si decide a fare ciò che la vedova chiede solo perché è stanco di essere «importunato» (cf. v. 5).

domenica 13 ottobre 2019

chi va, chi torna - post per #bibbiafrancescana

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». (Lc 17.11-19)

Domenica XXVIII del Tempo Oridnario – anno C – Prosegue la narrazione del cap. 17 di Luca avviata domenica scorsa. L’inizio dell’episodio richiama il tema del «viaggio» (cf. v. 11), tanto caro a Luca, per evidenziare un intervento formativo di Gesù nei confronti nella sua comunità in cammino. Il breve racconto di miracolo è tipico del terzo evangelista. Due particolari emergono come importanti: il contrasto fra «dieci» e «uno» (vv. 12.15); la sottolineatura sull’origine «straniera» dell’unico che torna (v. 18). L’intento del narratore è mostrare il passaggio dalla guarigione alla salvezza.

L’esperienza dello straniero lebbroso che incontra Gesù nel suo viaggio sta a indicare la vicenda di ogni uomo «lontano» da Dio: è l’inizio della nostra stessa storia. Eppure, l’incontro da solo non è sufficiente, perché – secondo il racconto – «dieci» furono «guariti» (vv. 12.14), ma «uno» solo fu «salvato» (vv. 15.19). C’è differenza, dunque, fra guarigione e salvezza. Gesù accorda miracolosamente la guarigione ai dieci lebbrosi, per dare loro un segno: per significare che egli è in grado di salvare la loro vita. Ma è necessario che ognuno sappia interpretare il segno ricevuto dal maestro e accetti tale proposta. Dei dieci sanati, solo «uno», «vedendosi guarito, torna indietro» (cf. v. 15), avendo fatto un collegamento fra quanto gli è capitato e la persona di Gesù. Il suo viaggio di ritorno è l’indizio di un riconoscimento: egli ha riconosciuto che Gesù è all’origine della sua guarigione, e di questo è grato (cf. v. 16).

lunedì 7 ottobre 2019

conclusione di un servizio


Da quest'anno - per volontà dei miei superiori francescani e per necessità impreviste a livello istituzionale nella famiglia religiosa - non posso più proseguire il mio servizio di docente invitato presso la Facoltà Teologica del Triveneto.

Un'esperienza molto vivace a arricchente, culturalmente e umanamente.

Auguro a tutti i colleghi docenti di continuare a testimoniare la loro passione per l'insegnamento e la verità come ne ho fatto esperienza nel passato.

Un grazie al Preside e alle autorità accademiche per avermi permesso questa bella esperienza in questi anni.

Un grazie al personale amministrativo e di segreteria/biblioteca per il supporto sempre valido e curato.

Pace e bene, fav - Padova, 7 ottobre 2019

domenica 6 ottobre 2019

accrescere la fede aumentando la gratitudine - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». (Lc 17,5-10)

Domenica XXVII del tempo ordinario – anno C -  La lettura liturgica consegna all’ascolto della comunità cristiana due brani differenti, proposti insieme semplicemente perché sono contigui nel testo lucano. Il primo presenta la domanda degli «apostoli» rivolta a Gesù (chiamato «Signore», come avviene solitamente in Luca) di «aumentare la loro fede». La risposta del maestro è sconcertante: se essi avessero anche una dose minima di fede opererebbero cose umanamente impossibili (vv. 5-6). In altri termini, essi sono privi di fede. Il secondo brano (riportato solo da Luca) esprime il comportamento e la condizione del «servo» nei confronti del suo Signore (vv. 7-10).

Siamo sempre nel contesto del viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Dopo le catechesi sulla misericordia (cf. Lc 15), sull’uso dei beni terreni (cf. 16,1-13), sulla povertà e ricchezza (cf. 16,19-31), il maestro tratta brevemente questioni diverse che si concludono con i due temi proposti dalla liturgia odierna.

Anzitutto, la fede (vv. 5-6). A differenza del testo parallelo di Mt 17,19-20, Luca introduce il motivo della fede senza un particolare contesto: sono gli «apostoli» che domandano al Signore una dose maggiore di fede. La risposta di Gesù fa comprendere che non è questione di quantità, ma di qualità: un «granellino» di fede autentica sarebbe sufficiente a operare prodigi.

Il secondo insegnamento del maestro (vv. 7-10) riguarda i modi e il senso del servizio del discepolo: in netto contrasto con una mentalità giuridica, piuttosto diffusa in ambiente giudaico e non solo, di sentirsi gratificati dalle opere compiute, in base alle quali avanzare diritti alla ricompensa divina (cf. Lc 18,9-14), Gesù afferma che «siamo servi inutili» e tali dobbiamo considerarci. Esclusa ogni autosufficienza (c£ Rm 3,27; 1Cor 1,29; Ef 2,9), rimane la sola «grazia» (cf. Ef 2,8).

Siamo servi inutili. Come si spiega questa frase?

domenica 29 settembre 2019

Lazzaro, mendìco, “dice con la mano” - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”». (Lc 16,19-31)

Domenica XXVI del tempo ordinario – anno C – Questa parabola, com’è noto, si trova soltanto in Luca, l’evangelista dei poveri, il quale vede nella ricchezza mal gestita un pericolo mortale per la fede e per il possesso del regno. Già Bibbia Francescana aveva dato uno sguardo alla pagina evangelica: “Il settimo fratello“; “La fiducia che avvicina“; “La benedizione della povertà“.

Le parabole propongono un messaggio non condizionato dal tempo, in particolare quando si riferiscono al rapporto tra ricchezza e povertà. Gesù l’aveva annunziato: «I poveri li avete sempre con voi» (Gv 12,8), non perché così abbia deciso il Creatore, ma a causa dei «troppo ricchi» cui fanno riscontro i molti «troppo poveri». Il Signore provvederà un giorno capovolgendo le sorti degli uni e degli altri, ma a ognuno di noi e alla comunità dei credenti si impone di anticipare – realizzandola almeno in parte – la condizione del mondo futuro.

domenica 22 settembre 2019

so io che cosa farò - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza». (Lc 16,1-13)

Domenica XXV del tempo ordinario – anno C – Prosegue la lunga e articolata catechesi lucana che raccoglie diverse parabole di Gesù. E in questo caso più di altri bisogna ricordare che la parabola non ha altro scopo che portare a un atteggiamento concreto e operativo, al cui servizio sono convogliati tutti gli elementi del racconto i quali, presi in se stessi e separatamente, potrebbero essere addirittura contraddittori e fuorvianti. Lo scopo dunque è costituito dal v. 9: «Procuratevi amici…»: come l’amministratore protagonista del racconto si è guadagnato la riconoscenza dei debitori, così i discepoli devono procurarsi amici soccorrendo e beneficando i poveri in questo mondo.

Siamo dunque di fronte a un brano da comprendere bene. Il titolo comunemente dato alla parabola («L’amministratore infedele») è già di per sé fuorviante. Scopo del racconto non è di presentare e tanto meno approvare il comportamento del fattore, chiamato senza mezzi termini «disonesto» e annoverato tra i «figli di questo mondo», sinonimo di «figli delle tenebre», i quali si collocano in posizione antitetica nei confronti dei «figli della luce» (v. 8). Questi ultimi, discepoli di Gesù, devono apprendere dai figli del mondo a essere più attenti, «scaltri», creativi, ponendo le ricchezze al servizio dei poveri, rimettendo e condonando i loro debiti. Così si faranno degli «amici» per il regno dei cieli (v. 9a). Tali «amici» secondo alcuni sarebbero i poveri stessi i quali un giorno accoglieranno i loro benefattori presso il Signore; secondo altri, e forse più giustamente, gli amici acquisiti con la distribuzione dei beni ai poveri, sarebbero Dio e i suoi angeli: quando, al termine della vita, non potremo più amministrare i beni di questo mondo, essi ci accoglieranno nelle «dimore eterne» (v. 9b). In ogni caso, si impone una scelta: o si serve Dio disponendo saggiamente del denaro, o si servirà «mammona» trascurando Dio e la vita eterna (v. 13).

domenica 15 settembre 2019

rallegratevi con me - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». (Lc 15,1-10 – forma breve di vv. 1-32)

Domenica XXIV del Tempo ordinario – anno C – La ricchezza della pagina evangelica proposta in questa domenica centra il tema della gioia per ciò che era perduto e viene ritrovato, visto in tutte le dimensioni delle tre parabole descritte (la pecora perduta, la moneta perduta, il figlio perduto). Sulla parabola del Padre misericordioso (o del “figliuol prodigo”) Bibbia Francescana si è già soffermata diverse volte (“relazioni svelate e sanate“; “P come… padre!“; “Domenica 11 settembre 2016, XXIVª TEMPO ORDINARIO“; “Domenica 6 marzo 2016, IVª DI QUARESIMA“).

Come suo solito, il terzo evangelista presenta personaggi e scene parallelamente al maschile e al femminile offrendo un’immagine completa del volto di Dio, caratterizzato da indefettibile amore paterno e da infinita, materna tenerezza. In questi brani è presente la fragilità umana, facile a smarrirsi e a perdersi, ma prevale il recupero, il ritorno, la vita rinnovata grazie alla paziente ricerca e attesa da parte di Dio. E c’è festa per tutti, contagiosa e coinvolgente: come non prendervi parte? “Rallegratevi con me…!” è il sasso lanciato nello stagno dell’angoscia dopo che il bene cercato è stato ritrovato. Eppure qualcuno (ad es. “il figlio maggiore”) non vuole prenderne parte…!

Il capitolo 15 del vangelo di Luca è collocato nel cuore del viaggio verso Gerusalemme, dove Gesù offrirà la sua vita. È un cammino geografico e insieme un itinerario spirituale che egli intraprende ponendosi decisamente alla testa dei discepoli ai quali chiede di seguirlo incondizionatamente. In questo viaggio il maestro svolge un’ampia catechesi sui punti decisivi dell’esistenza cristiana, proponendo se stesso come esempio concreto con il quale confrontarsi.

domenica 8 settembre 2019

venire a Lui, venire dietro a Lui - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo». (Lc 14,25-33)

Domenica XXIII del Tempo ordinario – anno C – Nella redazione lucana il brano proposto dalla liturgia di questa domenica è introdotto dalla constatazione da parte di Gesù che «molta gente andava con lui» (v. 25), anche se il racconto precedente narra il rifiuto degli invitati alla cena del regno (cf. Lc 14,15-24). Rivolto dunque alla gente, Gesù proclama che nessuno può essere «suo discepolo» se non rinuncia agli affetti più cari, alla sua stessa «vita», e segue il maestro «portando» dietro di lui la «propria croce» (vv. 26-27). Con la similitudine della «torre» da costruire e della «guerra» da non affrontare senza forze adeguate, il Signore dichiara l’impossibilità della sua sequela per chi non rinuncia a tutti i suoi averi (vv. 28-33).

Si noti il contrasto tra la gente numerosa che segue Gesù e la selezione radicale imposta dalla sequela: «Se uno viene a me…» (v. 26a). Il contrasto non è soltanto a livello quantitativo-numerico, ma anche qualitativo tra l’andare semplicemente con Gesù, come facevano le folle, e la decisione personale ed estremamente impegnativa di mettere il maestro al primo posto, senza mezze misure, dandogli la precedenza su tutto ciò che deriva dalla carne e dal sangue, addirittura sulla «propria vita». Si esige pertanto una morte e una risurrezione, una vita nuova che sorge dalla croce che il discepolo porta sulle orme e in comunione con il suo Signore. Si noti in merito la sequenza impressionante di «no» nei confronti delle persone e delle realtà più care: padre, madre, moglie, figli, fratelli, sorelle (v. 26b).

domenica 1 settembre 2019

spiare o osservare? - post per #bibbiafrancescana

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti» (Lc 14,1.7-14).

Domenica XXII del Tempo ordinario – anno C – Luca, l’evangelista che ha particolari attenzioni narrative per i poveri e gli ultimi, mostra ancora una volta la predilezione per costoro ponendo l’umiltà al centro dell’interesse di Gesù. In questo brano, tuttavia, prima di invitare i discepoli a prendersi cura di loro, il maestro chiede di condividerne la condizione, di mettersi volontariamente all’ultimo posto, là dove i poveri sono costretti a stare senza possibilità di scelta (vv. 7-11). E quando programmiamo un pranzo o una cena, ci esorta a invitare quelli che non hanno nulla da rendere (vv. 12-14a). La «ricompensa» ci verrà da un Altro (v. 14b).

Al di là del contesto immediato spazio-temporale (nella «casa di uno dei capi dei farisei» e in giorno di «sabato» con la gente che l’«osserva»: v. 1), Gesù prende di mira un modo di agire piuttosto frequente tra i farisei e, più o meno, comune a tutti. Il brano evangelico mette in luce un atteggiamento curioso che contrappone Gesù ai personaggi che gli stanno di fronte. Costoro «spiano Gesù» per metterne in discussione il comportamento, in particolare il fatto d’aver guarito un malato in giorno di sabato (cf. Lc 14,1-6); il Signore, da parte sua, «osserva» come gli «invitati» scelgano i «primi posti» (v. 7). La sapienza che ispira l’agire del maestro e quello degli invitati, come si vede, è diametralmente opposta: Gesù invita a scegliere non i primi posti, ma l’ultimo gradino della scala sociale (vv. 8-11), e non per una questione di etichetta, ma perché questa è la logica paradossale del regno, che vige nel banchetto imbandito da Dio per i suoi figli. Che non si tratti di semplice galateo, appare dalla seconda parte del brano in cui il Signore raccomanda di invitare coloro che non possono ricambiare e restituire il beneficio (vv. 12-14). È lo stile di Dio cui devono ispirarsi i discepoli di Gesù.

sabato 31 agosto 2019

Pellegrinaggio MFFF 2019 - Tra eremo e città -


30 agosto - 1 settembre. Pellegrinaggio MFFF di Camposampiero ad Assisi/Spoleto.
Tema: Francesco tra Eremo e Città.

31 agosto, visita all'Eremo di Monteluco. Breve momento di preghiera e catechesi di fav per mfff.

Materiale disponibile:

domenica 25 agosto 2019

ultimi, primi, dentro, fuori - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi». (Lc 13,22-30)

Domenica XXI del Tempo ordinario – anno C – La pagina del vangelo si apre ricordando che Gesù è «in cammino verso Gerusalemme» (v. 22), cioè verso la sua Pasqua di morte e risurrezione. Questo sfondo è importante per cogliere tutta la serie di esortazioni che seguono. La «porta stretta» (v. 24) non è fine a se stessa, ma richiama la logica fondamentale della croce di Cristo, unico ingresso per entrare a far parte del banchetto messianico (v. 29).

Al centro del testo l’evangelista pone la domanda di un personaggio dall’identità volutamente generica: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (v. 23). Gesù non risponde direttamente, cioè non soddisfa la curiosità sul numero dei salvati. Pone invece, ancora una volta, un criterio per entrare nella salvezza, quello della «porta stretta» (v. 24). Alcuni ritengono che il maestro faccia riferimento alla porta nelle mura della città attraverso la quale transitavano le merci o gli animali, stretta perché permetteva meglio il computo delle merci e delle tasse. Dunque, Gesù invita i discepoli a un discernimento attento sulla loro vita alla luce del loro rapporto con il Signore (così come la parabola del padrone di casa mette in luce: vv. 25-28). In definitiva, il maestro nega che la salvezza sia in relazione a un fatto etnico o a un privilegio religioso. Nessuno può pensare di averne l’esclusiva, anzi saranno molti i «lontani» e gli «ultimi» che accederanno al banchetto del regno (vv. 29-30).

Ultimi, primi; dentro, fuori. Le coordinate della fede sono diverse da quelle umane e apparentemente terrene. Necessita un nuovo orientamento umano ed esistenziale in Dio.

domenica 18 agosto 2019

senza esitazioni - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera» (Lc 12,49-53).

Domenica XX del Tempo ordinario – anno C – La pagina del vangelo è certamente provocatoria e anche un po’ enigmatica. Da un lato si avverte l’imminenza della Pasqua del Cristo (cf. v. 50), dall’altro egli ci provoca a una decisione, della quale non ci nasconde il dramma («fuoco», «divisione»: vv. 49.51-53), e a un discernimento per poter «giudicare da noi», senza il sostegno e il plauso di nessuno, «ciò che è giusto» (vv. 54-57).

«Fuoco», «battesimo», «divisione» (vv. 49-53), e ancora «pioggia», «scirocco», «tempo» da valutare (vv. 54-57). Questo passo evangelico è carico di un linguaggio provocatorio e simbolico. Un messaggio è però molto chiaro e diretto: il vangelo di Cristo e la vita cristiana non sono un comodo «rifugio» per persone paurose e di animo timido. Nella parola di Gesù c’è una carica di «violenza» che non può essere elusa. Certamente non si tratta di una violenza verso le persone, ma di una determinazione, di una decisione nei confronti della vita. L’immagine del cristiano che esce da questa pagina è quella di una persona chiamata, costi quel che costi, a vivere una decisione e una responsabilità nella propria vita: la decisione di seguire Gesù fin sulla croce e la responsabilità di leggere, momento per momento, la volontà di Dio all’interno della storia. E questo senza esitazioni.

domenica 11 agosto 2019

per noi o per tutti? - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più». (Lc 12,32-48)

Domenica XIX del Tempo ordinario – anno C – Anche nel vangelo di questa domenica il tema della fede è centrale. Dio ha promesso all’umanità il «suo regno» (v. 32). Esso non si acquista con le ricchezze (vv. 33-34), anzi queste possono appesantire la speranza fiduciosa. Il credente si deve allenare a un’attesa vigilante (vv. 35-40). Il cristiano, discepolo di Gesù (cf. la domanda di Pietro al v. 41: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?»), è posto a servizio della speranza dei suoi fratelli (vv. 40-48).

La pagina del vangelo arricchisce di elementi interessanti e molto concreti il tema della fede e della speranza. Soprattutto, mostra come la fede non sia una ricchezza da «accantonare»: essa si accresce in modo operativo. I credenti devono essere pronti a «vendere», a «camminare», «vegliare», a «servire» (vv. 33-40.43).

Nel testo ci sono due fondamentali posizioni: quella del «piccolo gregge» (le folle che circondano Gesù, di cui si parla in Lc 12,1), cioè di tutti coloro che accorrono verso il Signore, potremmo dire la totalità degli uomini, e quella dei discepoli propriamente detti (esemplificati da Pietro ed esplicitati dalla sua domanda). Colpisce che mentre i primi tre atteggiamenti (vendere, viaggiare, attendere svegli) sono di tutti, ciò che caratterizza il gruppo dei discepoli (quindi di noi tutti) è il servizio ai fratelli. La fede del cristiano dunque non solo è preoccupata di sostenere se stessa ma anche quella dei fratelli, e degli uomini più in generale. C’è una «ministerialità» della fede. Che esige anche una responsabilità: «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

domenica 4 agosto 2019

demolire: magazzini o egoismo? - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio». (Lc 12,13-21)

Domenica XVIII del Tempo ordinario – anno C – Il capitolo 12 del vangelo di Luca vede Gesù immerso in una grande folla che si accalca attorno a lui (cf. Lc 12,1). Si leva dunque una voce che chiede a Gesù una sentenza da tribunale (v. 13). Il maestro si rifiuta di ridurre il suo insegnamento a una semplice questione di giusta distribuzione delle ricchezze (vv. 14-15), e racconta la parabola del ricco stolto (16-20): la gioia nella vita non dipende dalle sicurezze che possiamo darci da soli.

Il contesto che dà inizio a questa pagina di vangelo è molto importante. Il Signore è immerso nella «folla» (v. 13), non è distaccato e neppure lontano dalla vita delle persone. È immerso. Ovviamente il suo messaggio può essere equivocato: Gesù può essere ritenuto un maestro di sentenze sagge, una specie di guida morale. Egli però rifiuta categoricamente questa immagine (v. 14): ciò che importa non è cavarsela saggiamente e proficuamente tra le faccende della vita, ciò che importa è «arricchire davanti a Dio» (v. 21). La parabola è sotto questo profilo emblematica (vv. 16-20): il protagonista si è guadagnato a buon diritto la sua ricchezza ma si è stoltamente appoggiato a essa per avere una garanzia di vita, dimenticando (come già l’Antico Testamento insegnava) che Dio solo è la radice di ogni sicurezza, di ogni benessere e di una vita felice. Così «arricchire davanti a Dio» significa riporre nel Signore la propria radicale fiducia.

domenica 28 luglio 2019

quando i frati gli chiesero che insegnasse loro a pregare - post per #bibbiafrancescana

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse:
«Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».
Ed egli disse loro:
«Quando pregate, dite:
“Padre, / sia santificato il tuo nome, / venga il tuo regno; / dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, / e perdona a noi i nostri peccati, / anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, / e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto.
Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce?  O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!». (Luca 11,1-13)

Domenica XVII del Tempo ordinario – anno C – L’insegnamento di Gesù sulla preghiera avviene nel contesto della sua lenta ma determinata «salita» verso Gerusalemme (cf. Le 9,51). L’insegnamento, scaturito dalla preghiera di Gesù che suscita la domanda di un discepolo (v. 1), si compone di tre parti: consegna del Padre nostro (vv. 2-4), parabola dell’amico insistente (vv. 5-8), esortazione alla preghiera per ottenere dal Padre il dono dello Spirito Santo (vv. 9-13).

domenica 21 luglio 2019

e se bastasse fermarsi - articolo per #bibbiafrancescana

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e
una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria,
la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola.
Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse:
«Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?
Dille dunque che mi aiuti».
Ma il Signore le rispose:
«Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno.
Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Lc 10,38-42

La bellezza di un racconto che mette in luce come anche la semplicità di un evento ordinario, semplice, familiare possa nascondere lo straordinario. Gesù passa, si ferma tra chi lo ospita con immediatezza e semplicità. Non è però un momento di svago o riposo: anche quello diventa momento per lasciare tracce di Vangelo, buona-notizia! E la notizia buona per tutti noi, trasmessaci da due “leggendarie” sorelle è questa: l’ospitalità è sacra e va onorata, ma la sacralità dell’incontro con Dio che si ferma nella nostra casa “è la parte migliore”.

“La parte migliore”, non la parte buona in contrapposizione all’altra (servire) non-buona. Qui il confronto è tra cose buone, doverose, “sante”… E nel buono – che resta comunque tale – si può individuare persino ciò che è “migliore”.

domenica 14 luglio 2019

la vera domanda - post per #bibbiafrancescana - 6 luglio 2016

“In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così»”. (Lc 10,25-37)

Nel mezzo dell’estate la liturgia domenicale ci raggiunge con il brano forse più emblematico per questo anno giubilare della misericordia: la parabola del buon Samaritano.

Uno degli aspetti più interessanti del racconto evangelico è quello delle domande in gioco. Il dottore della legge è preoccupato di “cosa fare” per ereditare la vita eterna. Atteggiamento comprensibile, ma tutto auto-centrato: ancora nella logica del “do-ut-des” (ti do perché tu mi dia) nei confronti di Dio. Faccio quello che chiedi, dunque ottengo la vita eterna…

domenica 7 luglio 2019

la forza della semplicità - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». (Lc 10,1-12.17-20)

Domenica XIV del Tempo ordinario – anno C – Solo Luca ci presenta la «missione» dei settantadue discepoli dopo averci descritto poco prima la «missione» dei dodici (cf. Lc 9,1-6). Il numero «settantadue», che richiama il numero delle nazioni pagane secondo la tradizione di Genesi 10, insieme all’espressione «in ogni città e luogo» (v. 1) prefigura la missione universale della chiesa. Il messaggio del missionario cristiano poi ricalca fedelmente quello della predicazione di Gesù sia per la vicinanza del «regno di Dio», sia per il giudizio, evocato dai temi della messe (vv. 2-9) e della disfatta di satana (vv. 10-12).

L’attività missionaria di tutti i tempi è ben definita da Gesù in questa sintesi programmatica che ne illustra l’origine e la finalità, chiarisce le responsabilità degli inviati e dei destinatari, ne descrive le modalità. La missione non è il frutto di decisioni o di impegni umani. Il primo responsabile è il Padre, «Signore della messe» (v. 2): a lui per primo sta a cuore la salvezza degli uomini, è lui a suscitare gli annunciatori del regno. Per questo motivo il missionario è sereno e coraggioso nell’annunzio, opera nella fiducia e nell’assenza totale di sicurezze o risorse materiali, non si lascia tentare dal fascino dell’imposizione forzata, non colpisce l’uditorio con mezzi potenti o effetti speciali, è consapevole che la fecondità della missione è tutta nella forza inerme della Parola della quale è banditore, una Parola capace di guarire e liberare da ogni infermità.

domenica 30 giugno 2019

La Bibbia in dialogo con le Fonti Francescane – articolo per “San Bonaventura Informa”


Pubblichiamo qui – con il permesso di “San Bonaventura Informa” – l’articolo estratto dalla rivista di giugno 2019 dove fr.Andrea Vaona presenta il progetto “Bibbia Francescana” e il percorso fatto.
LA BIBBIA IN DIALOGO CON LE FONTI FRANCESCANE
Cresce in rete il progetto editoriale e di comunicazione nato sotto le cupole della Basilica di Sant’Antonio di Padova
Giugno è mese antoniano per eccellenza, con la festa di sant’Antonio di Padova (da Lisbona), frate minore, il 13 giugno. Frate Antonio è sempre stato raffigurato con il libro della Parola di Dio in mano (ancorché poi con giglio e Gesù bambino in braccio o con la fiamma ardente). Appassionato predicatore e fine teologo del suo tempo, Antonio ottenne la benedizione di Francesco d’Assisi per il suo servizio di insegnante presso i frati (che nella prima ora francescana spesso erano bisognosi di nozioni sicure circa la fede, anche per non essere scambiati con gruppi ereticali). E se Francesco insegna ai frati di saper leggere il libro della croce di Cristo (quando fossero sprovvisti di libri della Sacra Scrittura, cf. Leggenda Maggiore 4,3 : FF1067, e anche per questo viene spesso raffigurato con un crocifisso in mano), Antonio aiuta a sfogliare con sapienza il Libro della Scrittura Sacra (ne sono un esempio i suoi Sermoni).

e si misero in cammino - post per #bibbiafrancescana

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio».
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio». (Lc 9,51-62)

Domenica XIII del Tempo ordinario – anno C – Dopo lunghissimo tempo la liturgia domenicale torna con la sua “ordinarietà” (niente feste, niente solennità…) che però assume coloritura nuova alla luce del “tempo pentecostale” che ci accompagnerà fino all’Avvento 2019. E’ dunque la chiave “missionaria” evocata dalla Pentecoste che offre una “chiave di lettura” alla pagina evangelica proposta. E anche se gli eventi narrati dalla pericope lucana sono avvenuti prima della passione-morte-risurrezione-ascensione-pentecoste, la dinamica missionaria evidenziata da Luca è evidente.

L’inizio del brano rappresenta un punto chiave del terzo vangelo: si apre qui il lungo viaggio di Gesù, un cammino non solo geografico ma anche spirituale e teologico che culminerà oltre la città di Gerusalemme, con la sua ascensione da questo mondo. La decisione del maestro appare salda e risoluta (v. 51) tanto da ispirare a Giacomo e Giovanni, di fronte al rifiuto dei samaritani, la richiesta di un «fuoco dal cielo» (vv. 52-54) sull’esempio di quanto aveva domandato il profeta Elia (cf. 2Re 1,10-12). Ma la radicalità richiesta da Gesù è di altro segno, come espresso nelle tre brevi scene che seguono, le quali mettono a tema le esigenze della sequela cristiana (cf. vv. 57-62). La chiamata rivolta ai discepoli è un invito a entrare nel cammino di Gesù fino a lasciarsi «togliere» dal mondo insieme con lui.

domenica 23 giugno 2019

Voi stessi date loro da mangiare - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste. (Lc 9,11b-17)

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo – anno C – Solennità – La ricchezza del tema eucaristico nella spiritualità francescana è già ben documentato in questi anni di #bibbiafrancescana (“Dio si fa pane”; “Eucaristia, ‘rendimento di grazie’”; “Un solo pane, un solo corpo”; “La cura nel preparare è segno di amore”). Seguiamo ora la proposta dell’anno C che focalizza il brano lucano della moltiplicazione/”condivisione” dei pani e pesci.

Quando Gesù vuole ritirarsi con i discepoli che prima ha inviato in missione, la folla lo segue. Egli non la respinge, ma annuncia il regno di Dio e guarisce i malati (v. 11). Prepara così la folla ad accogliere il pasto miracoloso, narrato come il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (vv. 12-17), prefigurazione del dono eucaristico. Una “moltiplicazione” che nasce però dalla con-”divisione” di ciò che i discepoli hanno, seppure ai loro occhi sia davvero poca cosa.

domenica 16 giugno 2019

il pollice, l’indice e il medio sono uniti, mentre l’anulare e il mignolo raccolti nel palmo della mano - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà». (Gv 16,12-15)

Solennità della Santissima Trinità – anno C – Prima della sua morte, in un discorso di addio, Gesù promette la venuta dello Spirito Santo e ne annuncia la funzione: lo Spirito introdurrà i discepoli nella piena comprensione di quanto egli ha detto e compiuto sulla terra. Lo «Spirito di verità» (v. 13) realizzerà questo non parlando per conto proprio, ma comunicando ciò che è del Figlio (v. 14), e cioè ciò che lo stesso Figlio ha ricevuto dal Padre (v. 15).

C’è stato il tempo di Gesù di Nazaret: attraverso il suo insegnamento e la sua vita, egli ha rivelato il Padre e la sua unità con lui. Certamente Gesù, durante il ministero terreno, ha fatto conoscere «tutto ciò che ha udito dal Padre suo» (cf. Gv 15,15). Lo Spirito Santo, perciò, non ha da completare un’opera  incompiuta e non fa concorrenza al Figlio con un altro insegnamento, ma – afferma Gesù – «prenderà del mio per comunicarvelo» (cf. v. 15). Dopo la partenza di Gesù da questo mondo lo Spirito avrà il compito di introdurre i credenti nella comprensione intera della verità, di fare penetrare il discepolo nel mistero del Figlio e della sua opera, di ammetterlo all’intelligenza profonda della fede, possibile soltanto alla luce dell’evento pasquale. Con la luce della fede comunicata, il Paraclito illumina sia il passato di Gesù, sia la sua realtà attuale di Figlio glorificato che sulla croce ha manifestato il suo amore totale per il Padre e per l’umanità. Emerge la struttura trinitaria dell’agire dello Spirito Santo: nella sua azione viene sperimentata la presenza del Figlio incarnato e risorto, trasparenza dell’amore del Padre. Essi tre distinti, eppure Uno.

Un anonimo autore ha scritto questo curioso testo per descrivere il ruolo dell’uomo di fronte al il mistero della Trinità:

«Un giorno Dio intese  il lamento dell’Uomo: “Esisti veramente? Io non posso vederti!”.  Allora Dio, toccato nel cuore,  mandò agli uomini suo Figlio.
Ma fu presto raggiunto da un altro appello: “Padre, dove sei?”. Allora Dio inviò il suo Spirito.
E quando Dio stesso entrò nel cuore dell’Uomo, ad una sola voce essi dissero:  “Tre volte ti ho cercato, e tre volte ti ho trovato! Che tu sia tre volte benedetto!”.
Sia benedetto Dio Padre e l’unigenito Figlio di Dio e lo Spirito Santo: perché grande è il suo amore per noi».