domenica 25 novembre 2018

C’era una volta un re - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18,33b-37).

XXXIV domenica del tempo ordinario – anno B – Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo – «— C’era una volta…. — Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori. — No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno…»: persino nel mondo delle favole ad un certo punto c’è stato qualcuno che ha messo un punto di rottura/non ritorno con la stantia banalità del Re protagonista del racconto (Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, 1883). Anche la solennità proposta dalla liturgia nell’ultima domenica dell’anno liturgico – seppur nata in un preciso e conflittuale momento storico per noi un po’ remoto e oggi di non facile comprensione – rimanda alla suggestione di un titolo “regale” riferito a Cristo, che però va compreso nella sua essenza dirompente e di rottura con l’immaginario significato collettivo.

Il brano evangelico giovanneo proposto per questo “anno B” mette proprio in luce lo smarrimento e la fatica di questo cambio di significato: è Ponzio Pilato colui che è testimone smarrito di questo cambio di prospettiva. Il processo davanti a Pilato ha nell’evangelista Giovanni un notevole sviluppo e significato teologico, con lo scopo di mettere in luce la novità della regalità di Gesù. Regalità che solo nella tragedia della passione si manifesterà pienamente.

  1. Pilato dialoga fuori coi giudei sul capo d’accusa (18, 28-32).
  2. Gesù e Pilato, all’interno, dialogano sulla dignità regale (18, 33-38a).
  3. Pilato, fuori, proclama l’innocenza di Gesù; i giudei reclamano Barabba (18, 38b-40).
  4. Gesù è incoronato di spine dentro il pretorio (19, 1-3).
  5. Pilato riconduce Gesù ai giudei e lo dichiara innocente fuori dal pretorio (19, 4-7).
  6. Pilato interroga Gesù, all’interno, sulla sua origine: Da dove sei tu? (19, 8-11).
  7. Pilato proclama Gesù “re dei giudei” (Ecco il vostro re… Metterò in croce il vostro re?), ma viene accusato dai giudei di porsi contro Cesare (19, 12-16).


Tutti gli evangelisti riportano la domanda: “Sei tu il re dei Giudei?”, ma solo Giovanni riporta il dialogo tra Pilato e Gesù, mentre i sinottici riportano solo una breve risposta di Gesù, che da quel momenti si chiude in un misterioso silenzio simile a quello del Servo sofferente di Isaia (53,7). La risposta di Gesù rappresenta il vertice del dialogo: egli afferma che il suo regno non è di origine terrena, ma viene dall’alto, è spirituale, non si fonda sulla potenza umana. Nel lessico giovanneo la verità consiste esattamente nella piena rivelazione della bontà del Padre.

domenica 18 novembre 2018

“la fine” o “il fine”? - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre» (Mc 13,24-32).

Domenica XXXIII del tempo ordinario – anno B – L’anno liturgico va compiendosi e la liturgia propone una riflessione sulle cose ultime sempre secondo l’insegnamento trasmesso dall’evangelista Marco, nel capitolo 13, con la sua struttura: in esso infatti Gesù risponde all’interrogativo formulato inizialmente da Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea sul tempo della distruzione di Gerusalemme (v. 4: dicci quando questo accadrà, e quale sarà il segno che tutte queste cose stanno per compiersi), soffermandosi sui segni terribili che accompagneranno la cosiddetta “grande tribolazione” della città: guerre, carestie, persecuzioni, falsi profeti (vv. 5-23). Questo capitolo raccoglie una o più tradizioni ebraiche cristianizzate e parole di Gesù trasmesse dalla tradizione. Marco scrive alla Chiesa di Roma sottoposta alla persecuzione: probabilmente desidera placare il timore che si era impadronito della comunità dopo la distruzione del tempio, considerata come il segno annunciatore della fine ormai prossima del mondo. Per questo motivo Marco distingue nettamente i diversi tempi della tribolazione e quelli della venuta finale di Cristo; gli svariati e difficilmente interpretabili segni negativi e l’unico avvenimento positivo: il ritorno del Cristo nella gloria. Il brano proposto dalla liturgia domenicale si innesta proprio a questo punto, preannunciando gli eventi nuovi che seguiranno la “grande tribolazione”.

Sottolineiamo la dimensione positiva della “fine”. Non è infatti “la fine” del discorso della storia, ma si mette in rilievo “il fine” di questo senso della storia. Il Figlio dell’Uomo – infatti – “riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo”. Dunque la prospettiva è quella di un incontro, non di un nulla. Si viene convocati da chi ci conosce ci ama. Era una promessa antica: «Allora il Signore tuo Dio cambierà la tua sorte, avrà pietà di te e ti raccoglierà di nuovo da tutti i popoli in mezzo ai quali il Signore tuo Dio ti aveva disperso. Quand’anche i tuoi esuli fossero all’estremità dei cieli, di là il Signore tuo Dio ti raccoglierà e di là ti riprenderà» (Dt 30,3-4). Lo stupore è che in Gesù Cristo la promessa si compie nel modo più radicale: è vinta la morte, è promessa per tutta l’umanità che crede in lui e al suo Vangelo, alla sua buona notizia, alla sua Parola.

domenica 11 novembre 2018

due per uno - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,38-44).

XXXII Domenica del tempo ordinario – anno B – Ultime domeniche dell’anno liturgico, anno B, anno marciano: ultimi insegnamenti da questo evangelista che – come è detto dalla tradizione, il catechista – accompagna il lettore/catecumeno a conoscere il “Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” (1,1). E lo sguardo del catechista si affina e diventa insegnamento a guardare il mondo con gli occhi di Gesù, con gli occhi di Dio. Prudenza nel giudizio, dunque!

Riprende la polemica contro gli scribi (ricordata, ma senza ostilità in 12,28 e 12,35). Questo discorso non tiene più conto di eccezioni come lo scriba di 12,28-34 (il Vangelo di domenica scorsa) e formula una condanna globale dell’orgoglio, della rapacità e dell’ipocrisia di una casta. Lo stesso tema, sviluppato molto più diffusamente, si trova in Matteo 23,13-32 e Luca 11,45-52.

Il Tesoro di cui si parla non è il luogo (interdetto al pubblico) dove erano conservate le ricchezze del tempio, ma dove erano collocate le cassette destinate a raccogliere le offerte (2Re 12,10 ne attribuisce l’istituzione al capo dei sacerdoti Ioiada). Gesù, che ha espulso i mercanti (11,15), non approva le pratiche finanziarie a beneficio del tempio. Ma il tesoro è l’occasione di un gesto che provoca la sua ammirazione.

domenica 4 novembre 2018

quanto dista il regno di Dio? - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo. (Mc 12,28b-34)

Domenica XXXI del tempo ordinario – anno B - “Non sei lontano dal regno di Dio”, risponde Gesù allo scriba che ha capito il comandamento che sta a principio della legge. Non è lontano, ma, per entrarvi, gli manca una cosa: amare Gesù, il Signore che gli si è fatto vicino. Il brano conclude dicendo che nessuno più osava interrogarlo. Solo dopo la croce ci sarà uno – Giuseppe di Arimatea – che attendeva “il Regno” e “osò” “chiedere”. Ebbe in dono il corpo di Gesù (15,43ss). Infatti solo lì sappiamo chi è il Signore: colui che per primo ci ha amati.

“Ascolta Israele”. Queste parole (in ebraico: Shemà Israel) sono quelle che iniziano la grande preghiera ripetuta incessantemente dagli ebrei. Il comandamento dell’amor di Dio (Dt 6,5) e quello dell’amore del prossimo (Lev 19,18) si trovano in due passi differenti della legge, e il secondo riguarda senz’altro solo i “vicini” e non tutti gli uomini. Gli ebrei avevano già l’abitudine di accostare l’uno all’altro questi due comandamenti, che per Gesù costituiscono l’essenza della legge: lo scriba approva pienamente questo accostamento proposto da Gesù.

Gesù presenta un itinerario-cammino in progressione: la richiesta di un amore dell’uomo verso Dio, compito inesauribile, come indicato dall’uso della formula: Amerai. Questa forma verbale, oltre al valore dell’imperativo associa anche l’idea di progressività, di incompiutezza. C’è sempre un futuro in questo comandamento, un nuovo futuro. L’amore è un compimento che non ha mai fine, ma trova nuove strade, nuove realizzazioni, nuove espressioni.

La caratteristica dell’amore a Dio è la totalità. L’esclusività! Tutto il cuore, l’anima e la mente: niente sconti!