domenica 28 ottobre 2018

a squarciagola - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!».
Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato».
E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada. (Mc 10,46-52)

Domenica XXX del tempo ordinario – anno B – Gesù, proseguendo a salire verso Gerusalemme, ha appena annunziato per la terza volta la sua passione e risurrezione. All’uscita da Gerico guarisce nuovamente (8,22-26) un cieco. Questi, appena vede, si mette a seguire il figlio di Davide sulla via che porta verso il Getsemani e il Golgota. Allo stesso modo il discepolo di Gesù illuminato dalla fede vede che la fedeltà lo porta dietro al suo Maestro sulla via della croce e della Pasqua.

Il vangelo non è un racconto ma un annuncio. Raccontando la guarigione del cieco, Marco propone un chiaro insegnamento in funzione del cammino della fede e della sequela di Gesù. Si parte dall’incontro di Gesù che passa, si afferra la sua presenza negli avvenimenti quotidiani, pur negli ostacoli che la nascondono, ci si rimette alla sua iniziativa. Allora, al pari del cieco, si è oggetto dell’attenzione di Dio, si intreccia un dialogo libero da ambo le parti, e si aprono gli occhi materiali e spirituali, si riceve la luce della fede, che impegna a seguire il Maestro. Questi i tratti dell’iniziazione alla fede, descritti da Marco sullo schema della guarigione del cieco.

Interessante notare che ci troviamo alla conclusione di una lunga sezione del Vangelo di Marco che inizia in 8,22-26 con la guarigione di un cieco senza nome e si conclude con la guarigione di un cieco con un nome, Bartimeo; il primo viene accompagnato da Gesù, il secondo è raggiunto da Gesù (nonostante l’opposizione dei discepoli); il primo è guarito nel nascondimento, il secondo davanti a tutti; il primo è guarito con gradualità, il secondo all’istante dopo la sua richiesta di bisogno e di affidamento a Gesù; il primo ritorna nella sua casa, guarito, il secondo diventa discepolo nella sequela. All’interno della sezione evidenziata, la lunga e paziente catechesi di Gesù per chiarire a Pietro e ai discepoli che significa davvero essere “il Cristo” (8,30): un lungo e paziente – raramente impaziente! – cammino per “pulire lo sguardo e le attese” dei discepoli sul Cristo-Messia. Anticipo di quella fine di cammino che permetterà poi di “vedere” il Risorto!

mercoledì 24 ottobre 2018

"Cantico delle creature" di san Francesco in dialetto zoldano

la chiesetta di San Francesco d'Assisi
a Forno di Zoldo BL
Ospito volentieri nel mio blog la traduzione in dialetto zoldano del "Cantico delle Creature" di san Francesco d'Assisi, proposta dall'amico & poeta Stefano Talamini.
Il testo è raccolto dal blog "Il giornale di Rodafà" che ringrazio per la diffusione del testo (link).
Dopo il testo il plug-in SoundCloud per ascoltare il testo dalla voce del traduttore.



O Signor, cossita grant e bon,
solche a Ti se à da fa laude, onor e benediẑioign.

Solche a Ti, Signor, le se confà

e neguint cadù  l’é degn de Te menẑonà.

Che i te laude, Signor, par dut chel che te à fat,

e in speẑie par nost fradel al sol,
che par tua graẑia al ne fa lum via par al dì.

E l’é bel e al fa an gran lustre:

e cossita al ne insegna valch de Ti.


Che i te laude, Signor, par nosta sòr la luna e par le stéle:

su in ẑiel te le à fate ciare, de valor e bele.

Che i te laude, Signor, par nost fradèl al vent

e par al ẑiel sarén o co le neule o con sa tenp,
che in ogni caso al vedoléa la dént.

Che i te laude, Signor, anca par l’aiva

nosta sòr umile, valenta, saurida e s-cèta.

Che i te laude, Signor, par al fuach

nost fradèl che al ne fa ciar de not
e te lo à fat bel e contént e cotànt forte.

Che i te laude, Signor, par nosta mare la tera,

che ne arleva e ne dà da tetà,
e la ne dà fiór incolorì, fruti  e erbe.

Che i te laude, Signor, par chi che sa perdonà par amor Tuo

e i soporta malaign e tribolazioign.

Beati chi che le soportarà,

parchè da Ti i sarà incoronai.

Che i te laude, Signor, par la mort de al corp,

che tant no se ghe scanpa a chesto mondo:
guai a chi che morirà in pecà mortàl;
beati chi morirà rispetóss de la Tua santissima volontà
che chela autra mort no ghe farà mal.

Laudé e benedì al Signor e ringraẑielo

e servilo senpre cotànt mestech.


Traduzione di Stefano Talamini

domenica 21 ottobre 2018

non “a destra di” o “a sinistra di”, ma “con” e “come” Colui che serve - post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,35-45).

Domenica XIX del tempo ordinario – anno B - Per la terza volta, e più esplicitamente che mai, Gesù annunzia ai discepoli che sale a Gerusalemme per subirvi la Passione.

Giacomo e Giovanni sollecitano per sé privilegi e mostrano così quanto stentano a capire l’insegnamento sulla sofferenza del Figlio dell’uomo. Un po’ come i bambini che sanno di chiedere ai genitori una cosa quasi impossibile da ottenere e dicono: “Adesso ti faccio una domanda e tu mi dici di sì!”. Pure loro: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Gesù ascolta questa “bambinata”, l’accoglie come aveva accolto i bimbi qualche versetto prima… Ma una volta accolta Gesù coglie l’occasione per dire che il suo modo di esaudire gli uomini consiste nell’associarli a lui nel mistero attraverso il quale li salva. Lo schema dell’annunzio è sempre lo stesso: l’annunzio (10,33-34) è seguito da una manifestazione di incomprensione dei discepoli (10,35-37) e poi da un insegnamento sul modo di seguire il Cristo (10,38-40).

domenica 14 ottobre 2018

questione di sguardi, post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà» (Mc 10,17-30).

Domenica XXIV del Tempo ordinario – anno B - Continuando a preparare la venuta del regno di Dio, Gesù parte dalla ricchezza. Ne parla in termini di rinunzia e di rottura. Solo una cosa è di impaccio all’uomo che vorrebbe entrare nella vita: il suo attaccamento a tutto quello che possiede. I discepoli invece riceveranno il centuplo e la vita come ricompensa al loro distacco. Quale ostacolo sono le ricchezze, dice Gesù, per tutti quelli che le possiedono! O il denaro o il regno, alternativa evangelica di fronte alla quale resteranno «rattristati» oppure «stupefatti» gli uomini di tutti i tempi. Tutto questo passo riguarda le ricchezze e il distacco che si impone a quelli che cercano il regno di Dio. È composto di tre o quattro sezioni, forse distinte in origine: a. l’incontro dell’uomo ricco: 10,17-22; b. un dialogo sui ricchi e la salvezza: 10,23-27; c. un altro dialogo sulla rinunzia e le ricompense: 10,28-30; d. una sentenza finale: 10,31. Certo, i diversi paragrafi si rivolgono a quanti si attaccano alle ricchezze materiali. Ma possono avere in più un altro senso. Al di là del caso personale, l’uomo ricco potrebbe rappresentare Israele, fedele alla legge, avido di sapienza e nello stesso tempo affascinato da Gesù. Le ricchezze che ostacolano quest’uomo sono di ordine materiale, quelle di Israele di ordine spirituale. Queste ultime sono le più difficili da abbandonare per seguire Gesù e accettare di essere salvati da lui, gratuitamente.

«Fissatolo, lo amò». Marco ricorda spesso lo sguardo di Gesù, in momenti particolarmente importanti dei suoi incontri con la gente (vedi 3,5.34; 5,32; 10,23; 11,11). Solo Marco ricorda lo sguardo e l’affetto che Gesù porta per l’uomo ricco. È questo l’unico passo dei Sinottici che segnala che Gesù ama, mentre in Giovanni se ne fa spesso menzione. Vedi per esempio Giovanni 11,5; 13,1; 19,26.
È bello esser fedele a tutti i comandamenti, ma non è tutto. Questo anzi rischia di indurre il credente al senso di sufficienza: può praticare i comandamenti per essere in regola con Dio. Da questa pratica può, come il fariseo di Luca 18,11-12, trarre la conclusione che non è «come gli altri uomini», che non ha nulla da rimproverarsi, che è perfetto. Questa cosa sola manca a quest’uomo, come pure a Israele: «vendere quello che ha», per mettersi a seguire Gesù.

Gesù ha preso sul serio la generosità di quest’uomo. Tutto il movimento di accoglienza che attraversa questa vita, grazie alla pratica della legge amata fedelmente, sfocia in questo incontro a faccia a faccia, all’invito di fare il passo decisivo per entrare nel regno. Ma, almeno attualmente, inciampa davanti alla necessità dello spogliamento per poter seguire Gesù. Se ne va «afflitto», non a motivo dei suoi beni in se stessi, ma per il fatto del suo attaccamento e per il rifiuto di abbandonare le sue ricchezze. Ma la tristezza è segno sicuro che la chiamata di Gesù lo ha toccato e che il suo atteggiamento non è conforme al suo desiderio più profondo.

domenica 7 ottobre 2018

durezza di cuore, tenerezza di Dio, post per #bibbiafrancescana

In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro. (Mc 10,2-16)

XXVII Domenica del tempo ordinario – anno B – I farisei compaiono ad ogni angolo sulla strada che porta Gesù a Gerusalemme. Cercano di prenderlo nel trabocchetto delle loro domande. Ma Gesù approfittando della controversia, comunica ai discepoli il suo sentimento profondo sul matrimonio: la volontà di Dio coincide con l’amore che dura per tutta la vita. La realtà di tutti i giorni fa costatare che i cuori si induriscono e così tante coppie arrivano al divorzio.

Chi abbandona il proprio coniuge non viene giustificato da Mosè. I farisei si riferiscono a questo testo: «Si dia il caso di un uomo che ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito e poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, ha dunque scritto per lei un libello di ripudio e glielo ha consegnato in mano e l’ha mandata via dalla casa…» (Deuteronomio 24,1). Ma la loro interpretazione è abusiva. Mosè (secondo il Deuteronomio nella traduzione data sopra) prende atto dell’usanza del divorzio, senza né prescriverlo né permetterlo. L’ordine che dà si limita all’obbligo per giustizia di redigere per la donna mandata via un atto di ripudio.