Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!». (Gv 6,24-35)
Domenica XVIII del Tempo ordinario – anno B – Prosegue il racconto giovanneo degli eventi legati alla moltiplicazione/divisione del pane e dei pesci (vv. 6,1-15) offertoci dalla liturgia domenica scorsa (omettendo però l’episodio di Gesù che cammina sulle acque).
Dal segno del miracolo, Gesù tenta di accompagnare le folle alla comprensione del “vero segno”, ossia la sua presenza, la presenza del Messia atteso, la presenza di Dio tra loro. Non si tratta solo di offrire il pane che sostiene la vita umana, ma persino di offrire la vera vita che Dio desidera donare. Le folle si fissano ovviamente sul pane che hanno mangiato senza fatica e senza spesa: continuano a tendere la mano per questo, ma non hanno compreso che quel pane è segno di altro: Gesù stesso!
Le folle chiedono che cosa fare, “quali opere”. Gesù risponde al singolare: l’opera è unica, la fede che permette a Gesù di compiere in noi la Sua opera. Dobbiamo unirci a Gesù nel fare come lui la volontà del Padre. Ecco il “fare” per mezzo del quale l’uomo acquista il cibo che dura per la vita eterna.
“Dacci sempre questo pane!”: la reazione della folla è analoga a quella della Samaritana (4,15: “Signore – gli disse la donna – dami di quest’acqua perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”). In ambedue i casi Gesù fa passare i suoi uditori da una ricerca puramente materiale all’attesa di quel che egli desidera dare, ma che essi stenteranno ad accettare, appena Gesù avrà precisato il suo pensiero. Attraverso due segni basilari: pane, acqua.
“Io sono il pane della vita…” (6,35); “…chiunque beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (4,13): Gesù in questo modo afferma che egli è pane/acqua per la vita del mondo. Non si tratta di poter ottenere da lui dei benefici materiali, è solo la sua persona che conta, che bisogna conoscere ed accogliere.
Forse da questa radice evangelica nasce la disciplina essenziale del digiuno a pane ed acqua. Ne narra anche san Bonaventura ricordando i giorni per Francesco nella compilazione della Regola:
«Guidato dallo Spirito Santo, Francesco salì su un monte con due compagni e là, digiunando a pane e acqua, dettò la Regola, secondo quanto gli suggeriva lo Spirito divino durante la preghiera. Disceso dal monte, la affidò da custodire al suo vicario. E siccome questi, pochi giorni dopo, gli disse che l’aveva perduta per trascuratezza, il santo tornò di nuovo nella solitudine e subito la rifece in tutto uguale alla precedente, come se ricevesse le parole dalla bocca di Dio. Ottenne, poi, che venisse confermata, come aveva desiderato, dal sopraddetto papa Onorio, nell’ottavo anno del suo pontificato. Per stimolare i frati a osservarla con fervore, diceva che lui non ci aveva messo niente di propria iniziativa, ma tutto aveva fatto scrivere cosı` come gli era stato rivelato da Dio» (Leggenda maggiore, IV,11 : FF 1084).
Frate Antonio di Padova, santo, meditando sul versetto 27 allarga lo sguardo e ammonisce i cristiani:
«“Procuratevi – dice il Signore – non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna” (Gv 6,27). L’opera del giusto è la dolcezza del miele, cioè la purezza della coscienza, l’onestà della vita, il profumo della buona riputazione, la gioia della contemplazione di Dio. O curioso, che ti affanni e allarghi la tua attività in tante direzioni, va’, non dico dalla formica, ma dall’ape e impara la saggezza. […] Dal suo esempio impara a non dare ascolto ai vari fiori di parole, ai vari libercoli; e non lasciare un fiore per passare ad un altro, come fanno gli schizzinosi che sempre sfogliano libri, criticano le prediche, controllano le parole, ma non arrivano mai alla vera scienza; tu invece raccogli da un libro ciò che ti serve e collocalo nell’alveare della tua memoria» (Sermone della domenica XI dopo Pentecoste, 12).
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