Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. (Gv 20,19-31)
2′ Domenica di Pasqua, “in albis” o “della Divina Misericordia” – Prosegue l’offerta estremamente ricca e articolata dei testi che riguardano la risurrezione e gli eventi che la caratterizzano: sono i testi che la liturgia propone nell’ottava di Pasqua e nelle prime domeniche del tempo di Pasqua. Tale ricchezza è specchio della complessità dell’evento “risurrezione” e allo stesso tempo della multiforme possibilità che questo evento raggiunga l’umanità in tempi e modi diversi, sempre “personalizzati”.
Beati quelli che pur non avendo visto crederanno! – Gesù mal sopporta coloro che sono alla ricerca di segni e prodigi per credere (Gv 4,48) e sembra rimproverare Tommaso. Scorgiamo qui anche un passaggio verso una fede più autentica, un “cammino di perfezione” verso una fede cui si deve arrivare anche senza le pretese di Tommaso, la fede accolta come dono e atto di fiducia. Come quella esemplare degli antenati (Ap 11) e come quella di Maria (Lc 1,45). A noi che siamo più di duemila anni distanti dalla venuta di Gesù, vien detto che, benché non lo abbiamo veduto, lo possiamo amare e credendo in lui possiamo esultare “di gioia indicibile e gloriosa” (1Pt 1,8).
La fede ormai si basa non sulla visione, ma sulla testimonianza di quelli che hanno visto; è per questa fede che i cristiani entrano in comunione profonda con Cristo risorto (17,20). E’ nella fede della Chiesa-assemblea che si matura la fede. E si sostiene.
Non si arriva a Cristo da soli (anche sant’Agostino diceva “unus cristianus, ullus cristianus”: “un cristiano solo, alcun cristiano”). Ma ciò che Gesù rimprovera a Tommaso non è la comprensibile incomprensione di chi si trova distante – anche per ragioni contingenti – dalla comunità che sperimenta il Cristo nella sua vita, ma piuttosto il fatto che la sua concezione della fede è ancora rimasta subordinata alla visione (come, del resto, quella di tutti gli altri discepoli, che in effetti hanno tutti visto il Risorto), cioè ad un tempo precedente a quello della resurrezione.
La fede in Cristo non è ora limitata a chi ha storicamente avuto rapporti con il Gesù storico, tutti siamo chiamati non solo a conoscerlo, ma soprattutto a riconoscerlo. La proverbiale concretezza di Tommaso è rimasta indietro e non si è accorta delle nuove prospettive di sequela. Ciò a cui siamo chiamati a credere non è più la constatazione di un miracolo (come la chiamata in vita di Lazzaro), ma più concretamente un Dio fatto uomo che muore e risorge per l’uomo stesso. Tommaso, che in precedenza aveva detto “non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?” (cfr. Gv 14,5), opera quindi una delle più alte professioni di fede del Nuovo testamento (“Mio Signore e mio Dio”). Ma ciò accade, secondo l’evangelista Giovanni, non tanto mettendo il dito nella ferita, quanto piuttosto scoprendo insieme ai suoi fratelli la concretezza della strada che Gesù gli ha mostrato.
Nelle ore in cui c’è chi ancora tenta di esorcizzare il pericolo della fede cristiana impedendo l’acquisto on-line del testo della Bibbia, la beatitudine annunciata da Cristo a Tommaso per coloro che “senza aver visto, credono” diventa promessa di felicità e di diffusione di fede attraverso la testimonianza che va oltre la carta… ma nella Parola di Dio trova terra fertile e seme.
Bibbia Francescana ricollega il brano evangelico giovanneo con l’esperienza di stupore per la gente di Assisi che scopre sul corpo esanime di Francesco d’Assisi i segni della passione di Nostro Signore, e l’incredulità per tale fenomeno si estingue con la verifica personale e tattile… ricordando le pretese di san Tommaso apostolo:
«Difatti, appena diffusa la notizia del transito del beato padre [san Francesco] e la fama del miracolo, il popolo accorreva in massa sul luogo: volevano vedere con i propri occhi il prodigio, per scacciare ogni dubbio della ragione e accrescere l’emozione con la gioia. I cittadini assisani, nel più gran numero possibile, furono ammessi a contemplare con gli occhi e a baciare con le labbra quelle stimmate sacre. Uno di loro, un cavaliere dotto e prudente, di nome Gerolamo, molto noto fra il popolo, siccome aveva dubitato di questi sacri segni ed era incredulo come Tommaso, con maggior impegno e audacia muoveva i chiodi e le mani del santo, alla presenza dei frati e degli altri cittadini, e tastava con le proprie mani le mani, i piedi e il fianco del santo, per recidere dal proprio cuore e dal cuore di tutti la piaga del dubbio, palpando e toccando quei segni veraci delle piaghe di Cristo. Perciò anche costui, come altri, divenne in seguito fedele testimone di questa verità , che aveva riconosciuto con tanta certezza, e la confermò giurando sui sacri testi» (San Bonaventura, Leggenda maggiore, 15,4 : FF 1249).
E sant’Antonio di Padova, francescano e presbitero, commenta la nostra comune beatitudine:
«“Beati coloro che pur senza aver visto, hanno creduto”. Con queste parole loda la fede dei gentili (pagani); ma usa il tempo passato perché nella sua prescienza vedeva come già avvenuto ciò che sarebbe accaduto in futuro. Ne troviamo conferma negli Atti degli Apostoli, quando Filippo interrogò l’eunuco di Candàce, regina di Etiopia: “Credi con tutto il tuo cuore? Rispose: Credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio. E lo battezzò” (At 8,37.38); così pure dove si parla del centurione Cornelio, che Pietro battezzò insieme con tutta la sua famiglia, nel nome di Gesù Cristo. Questi due, che credettero in Cristo, prefiguravano la chiesa dei gentili, che sarebbe stata rigenerata nel sacramento del battesimo e avrebbe creduto nel nome di Gesù Cristo» (Sermone Domenica dell’ottava di Pasqua)
E prega:
«Preghiamo dunque, fratelli carissimi, e supplichiamo la misericordia di Gesù Cristo perché venga e si fermi in mezzo a noi, ci conceda la pace, ci liberi dai peccati, estirpi dal nostro cuore ogni dubbio e imprima nella nostra anima la fede nella sua passione e risurrezione, affinché con gli apostoli e con i fedeli della chiesa possiamo conseguire la vita eterna. Ce lo conceda colui che è benedetto, degno di lode e glorioso per i secoli eterni. E ogni anima fedele risponda: Amen. Alleluia» (idem).
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