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domenica 5 febbraio 2017

quando mancano te ne accorgi - articolo per #bibbiafrancescana

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,13-16)

5′ Domenica del Tempo ordinario, anno A -I discepoli di Gesù hanno una grossa responsabilità di fronte al mondo: devono essere «sale della terra» (v. 13) e «luce del mondo» (v. 14). La luce illumina, il sale rende il cibo saporito. Il mondo non si accontenta di sentire belle parole, ma vuol vedere fatti. Il cristiano è sale della terra e luce del mondo quando vive in se stesso lo spirito delle beatitudini annunciato da Gesù (i versetti evangelici che precedono questi quattro proposti in questa domenica). Il discepolo è chiamato a continuare l’azione del suo maestro, vera «luce del mondo» (cf. Gv 8,12).

La comunità cristiana viene presentata come «sale della terra» (v. 13a). Non si fa qui cenno a qualche precisa proprietà del sale; Matteo vuol semplicemente dire ai cristiani che essi svolgono una funzione insostituibile per l’umanità. E’ però ventilata la possibilità che il sale diventi insipido. I discepoli che non vivono l’ideale che hanno abbracciato perdono ogni senso e significato, il sale senza sapore non serve a nulla, è destinato a «essere gettato via e calpestato dagli uomini» (v. 13b).


«Voi siete la luce del mondo» (v. 14a). Questa espressione lapidaria iniziale è precisata da due immagini: la città collocata sopra il monte (cf. v. 14b), la luce e il candelabro (cf. v. 15). La prima immagine paragona la comunità dei discepoli alla città che si trova sopra un monte: è impossibile non vederla. La seconda presenta il rovescio della medaglia: la luce va posta sul lucerniere per illuminare l’ambiente. Porla sotto il moggio non avrebbe alcun senso. Ebbene, i discepoli che si mimetizzano vengono meno al loro compito. Il v. 16 offre la spiegazione della metafora e presenta il compito del discepolo: passa dall’essere al vivere. I discepoli sono la «luce del mondo» e devono «far brillare» la loro luce davanti agli uomini. La luce che i discepoli devono diffondere sono le «opere buone», che devono compiere «davanti agli uomini» per indurli a «rendere gloria al Padre che è nei cieli».

Chissà se dietro queste espressioni di Gesù si nasconde l’esperienza del suo sguardo posato lungo le sponde del Mar Morto: sole cocente e abbagliante amplificato dal riverbero del sale bianco che incrosta le rive del mare. Luce accecante, sale abbondante… come oggi lo vedono i tanti pellegrini che visitano la terra santa. Anche se così non fosse, mi resta la consapevolezza di un paio di considerazioni intravedibili nel binomio luce/sale.

Luce e sale si danno per scontate, normali, banali. La vita quotidiana banalizza la loro familiare presenza: interruttori che si attivano e disattivano senza pensarci, luci “sprecate” che restano accese…; cibi saporiti che nutrono fami non sempre solo di nutrimento. Eppure, quando “salta la luce”, quando nella pasta “manca il sale”, quando scendiamo in Umbria e assaggiando il pane lo percepiamo subito “senza sale”… ecco! Ce ne accorgiamo immediatamente! Nella similitudine dei credenti luce e sale forse si cela anche questo segreto: quando sono presenti sono spesso banalizzati, ignorati, dati per scontati (“si occupi la Chiesa degli immigrati!”). Quando mancano, quando la loro testimonianza autentica viene meno, il tessuto socio-culturale non può non accorgersene. E non sempre solo per “rimpiangerne” i servizi che vengono meno…

Luce e sale non sono “assoluti”. Non sono elementi ricercati e elitari. Sono elementi piuttosto semplici, comuni. Sono però anche la conseguenza di “altro”. Non c’è fiamma senza ossigeno e olio, non c’è illuminazione senza lampadina e corrente… Non c’è sale senza cloro e sodio, senza fatica di minatore per estrarlo, senza la pazienza di lasciar evaporare l’acqua del mare nelle saline. Dire che siamo luce e sale dunque vuol dire anche che non siamo stra-ordinari, non siamo auto-referenziali: c’è altro prima di noi che è causa della luce e del sale. «È in te, Signore, la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce», Salmo 39,9.

Dice Francesco d’Assisi nella Lettera ai fedeli II, X:

«E tutti quelli e quelle, che continueranno a fare tali cose e persevereranno in esse sino alla fine, riposerà su di essi lo Spirito del Signore, ed egli porrà in loro la sua abitazione e dimora. E saranno figli del Padre celeste, di cui fanno le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo. Siamo sposi, quando nello Spirito Santo l’anima fedele si unisce a Gesù Cristo. Siamo suoi fratelli, quando facciamo la volontà del Padre suo, che è nel cielo. Siamo madri, quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo attraverso l’amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri» (FF 200).

E ancora rivolgendosi ai frati: «Tale sia il vostro comportamento in mezzo al popolo, che chiunque vi veda o vi ascolti, abbia a glorificare e lodare il Padre nostro che è nei cieli» (Anonimo perugino, 38: FF 1531).

E il papa Alessandro IV nella bolla di canonizzazione di santa Chiara, quasi “giocando” col nome della santa, dice:

«Chiara infatti si nascondeva, ma la sua vita era rivelata a tutti. Chiara taceva, ma la sua fama gridava. Si teneva nascosta nella sua cella, eppure nelle città lei era conosciuta. Nulla di strano in questo: perché non poteva avvenire che una lampada tanto vivida, tanto splendente, rimanesse occulta senza diffondere luce ed emanare chiaro lume nella casa del Signore; né poteva rimanere nascosto un vaso con tanti aromi, senza emanare fragranza e cospargere di soave profumo la casa del Signore. Che´ anzi, spezzando duramente nell’angusta solitudine della sua cella l’alabastro del suo corpo, riempiva degli aromi della sua santità l’intero edificio della Chiesa» (FF 3285).

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