«In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain,
e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla.
Quando fu vicino alla porta della città,
ecco, veniva portato alla tomba un morto,
unico figlio di una madre rimasta vedova;
e molta gente della città era con lei.
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei
e le disse: «Non piangere!».
Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono.
Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!».
Il morto si mise seduto e cominciò a parlare.
Ed egli lo restituì a sua madre.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio,
dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi»,
e: «Dio ha visitato il suo popolo».
Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea
e in tutta la regione circostante»
(Lc 7,11-17)
Il brano evangelico di questa decima domenica del tempo ordinario (anno C) apre un’ulteriore finestra sulla compassione di Gesù. In Lui – con Lui – per Lui Dio passa per le strade del mondo e non si sottrae al confronto con la sofferenza e il dolore, anche quello tragico. Per quella donna, vedova, il figlio è tutto il suo presente, il suo passato e la speranza per il suo futuro. E la morte le ruba passato-presente-futuro…
Ancor più del miracolo inimmaginabile (ridare la vita ad un morto), l’evangelista Luca sottolinea anche il vero gesto di Gesù: «Egli lo restituì a sua madre».
Per il miracolo, a Gesù, basta la ‘parola’ (Lui, “Verbo del Padre”); ma per dare compimento alla sua completa azione salvifica ci vuole anche il gesto: ‘restituire’.
E’ davvero questa ‘restituzione’ che trasforma un miracolo di guarigione in un vero prodigio di giustizia: Dio annienta l’ingiustizia portata dalla morte.
Il ragazzo torna in vita; alla donna è fatta giustizia. Alla donna è restituito passato-presente-futuro.
“Bibbia francescana” ci permette di collegare il brano evangelico con un episodio delle Fonti francescane, precisamente un miracolo attribuito a san Francesco dopo la sua morte. E’ interessante notare come la dinamica della ‘restituzione’ ritorni ancora in modo esplicito anche nella narrazione di san Bonaventura:
«Nel borgo di Pomarico, situato fra i monti della Puglia, due coniugi avevano un’unica figlia, di tenera età , teneramente amata. Ma una grave malattia la condusse alla tomba. I suoi genitori, disperando di avere altri eredi, si ritenevano morti con lei. Vennero i parenti e gli amici per quel funerale troppo degno di pianto; ma la madre infelice, giacendo ricolma di indicibili dolori e sommersa da infinita tristezza, nulla avvertiva di quanto si stava facendo.
Intanto san Francesco, in compagnia di un solo frate, si degnò di visitare con un’apparizione la desolata donna, che ben conosceva come sua devota. Pietosamente parlandole, «Non piangere – le disse – perché il lume della tua lucerna, che tu piangi come spento, ti sarà restituito per mia intercessione».
Si alzò immediatamente la donna e, raccontando a tutti quanto il santo le aveva detto, proibì che si procedesse alla sepoltura; poi, invocando con grande fede il nome di san Francesco, prese per mano la figlia morta e, viva, sana e salva, la fece alzare fra lo stupore universale».
(Bonaventura da Bagnoregio, Leggenda Maggiore II,2: FF 1264)
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