Poco prima di salire al cielo, Gesù lascia un mandato molto preciso agli undici, che inizia con queste parole: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura». E’ solo nel Vangelo di Marco che si ha questa espressione “a ogni creatura”. Che differisce da Matteo (28,19) “fate discepole tutte le nazioni” o da Luca (24,37) “saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati” oppure sempre di Luca ma in Atti (1,8) “di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra”.
Gli esegeti ci avvertono che il brano in questione (16,9-20) non è tecnicamente “marciano”, proviene da altra fonte autorevole che poi è stata qui collocata e ritenuta canonica ed ispirata. Detto questo, resta la sorpresa per questa affermazione di larghissimo respiro “annunciare il Vangelo ad ogni creatura”: una universalità/totalità di movimento e di ‘soggetti’ da evangelizzare, ossia a cui porgere la “buona novella”. Certamente un’interpretazione un po’ restrittiva e in sintonia con altre pagine scritturistiche potrebbe far pensare comunque di ridurre il campo di evangelizzazione delle “creature” ai soli esseri umani: essi portano in sé l’impronta di Dio perché creati a sua immagine e somiglianza. Eppure l’universalismo del passo pseudo-marciano – sottolineato tre volte da “in tutto il mondo”, “ad ogni creatura”, “chi crederà…” – corrisponde nello stesso tempo alla Signoria universale di Gesù glorificato e al cammino nuovo proposto per la salvezza: ossia le fede (cf. Rm 1,1,-5), in linea con Marco 15,39, che indica il primo credente nella persona del centurione romano, pagano, straniero…
Risulta pertanto troppo semplice ricordare che anche san Francesco insegna a lasciarsi evangelizzare dalle creature: risultato già di per sé non scontato e sempre sorprendente, che è il cuore del testo forse più conosciuto in assoluto di Francesco, ossia il “Cantico delle creature” o “di frate sole”. Come ci ricordiamo bene in quel fantastico componimento poetico-eucologico Francesco canta le creature che sono motivo di lode in due direzioni: esse sono causa ed effetto di lode e conoscenza di Dio. Tanto per fare un esempio, «Laudato si’, mi’ Signore, per sora Luna e le stelle…» significa che il Signore è oggetto di lode perché creatore di luna e stelle, ma anche che attraverso la presenza-contemplazione della luna e delle stelle si può arrivare a lodarne il creatore! Ben altra cosa di chi vorrebbe san Francesco antesignano delle dottrine ecologiste!
Lo slancio appassionato di Francesco – che lo colloca in armonia col creato – sembra perfino risvegliarlo alla singolarità della proposta di Gesù contenuta nel Vangelo di Marco che stavamo osservando insieme.
Tra i moltissimi esempi che potremmo citare, suggeriamo di leggere il capitolo IV del “Trattato dei miracoli” di Tommaso da Celano (FF 843 e ss.).
«Una volta, facendo viaggio attraverso la valle Spoletana, nelle vicinanze di Bevagna, arrivò in un luogo ove si era radunata una grandissima quantità di uccelli di varie specie. Avendoli scorti, il santo di Dio per il particolare amore del Creatore, con cui amava tutte le creature, accorse sollecitamente in quel luogo, salutandoli nel modo consueto, come se fossero dotati di ragione. Poiché gli uccelli non volavano via, egli si avvicinò e, andando e venendo in mezzo a loro, toccava con il lembo della sua tonaca il loro capo e il loro corpo. Pieno di gioia e di ammirazione, li invitò ad ascoltare volentieri la parola di Dio e così disse: «Fratelli miei uccelli! Dovete lodare molto il vostro Creatore e sempre amarlo perché vi ha rivestito di piume e vi ha donato le penne per volare. Infatti tra tutte le creature vi ha fatti liberi, donandovi la trasparenza dell’aria. Voi non seminate né mietete, eppure egli vi mantiene senza alcun vostro sforzo!». A tali parole gli uccelli, facendo festa, cominciarono ad allungare il collo, spalancare le ali, aprire il becco, fissandolo attentamente. Né si allontanarono da là finche´, fatto un segno di croce, non diede loro il permesso e la benedizione. Tornato dai frati, cominciò ad accusarsi di negligenza, perché prima non aveva mai predicato agli uccelli. Perciò da quel giorno esortava gli uccelli, gli animali, e anche le creature insensibili, alla lode e all’amore verso il Creatore».
Tommaso sottolinea lo stupore di Francesco per questa negligenza – “perché prima non aveva predicato agli uccelli” – e la sua ferma risoluzione di dedicarsi all’esortazione di uccelli, di animali, e anche di creature insensibili, alla lode e all’amore verso il Creatore! Leggendo il celanense scopriamo che gli episodi non mancano… e forse potremmo dire che culminino con la nota vicenda del Lupo di Gubbio (Fioretti XXI: FF 1852).
E’ chiaro che tutto questo risulta così irrazionale – predicare alle creature sensibili o insensibili! – ma si colora di quella irrazionalità e senso-altro tipici della linfa evangelica. Al punto che pure un frate ben più letterato e istruito di Francesco, tale Antonio da Lisbona e poi sant’Antonio di Padova, come ben sappiamo, non disdegna di predicare ai pesci (ancora in Fioretti XL: 1875) quelle sante parole che avrebbe voluto rivolgere a uomini e donne in quel di Rimini: quasi a dire che se la bellezza e preziosità della Parola di Dio trovasse anche cuori induriti tra gli uomini essa è comunque parola di armonia e pace per le creature che proprio quella Parola ha suscitato (Genesi 1,6-25).
Mi convinco sempre di più che un amico “diversamente abile” conosciuto anni fa – famoso per la sua spiccata prerogativa di parlare con naturalezza agli alberi e di abbracciarli! – sia molto più fedele al Vangelo di chi qui scrive…
(dedicato a Federica Causin)
articolo per #bibbiafrancescana - http://bibbiafrancescana.org/2015/05/quando-francesco-e-antonio-prendono-sul-serio-il-vangelo/
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